Islam e democrazia
“La primavera araba”: il sogno infranto della democratizzazione del monto islamico
Ho parlato di questi grandi problemi, che da vicino toccano anche noi Europei, con Valentina Colombo, professore all’Università Europea di Roma, dove insegna Storia dell’islam contemporaneo.
Włodzimierz Rędzioch: - All’inizio dell’anno scorso nei Paesi arabi dell’area mediterranea ha cominciato a soffiare un vento di libertà cha ha spazzato via dei regimi autoritari laici. Si parlava della “primavera araba” e si sperava nel futuro democratico dei Paesi coinvolti. Oggi si può affermare che la “primavera araba” non è l’inizio della democratizzazione ma dell’islamizzazione. Come mai le forze islamiche sono riuscite a impadronirsi della rivoluzione araba che mirava alla vera libertà?
Prof. ssa Valentina Colombo: - Tutto inizia nel gennaio 2011 in Tunisia, quando il giovane Muhammad Bouazizi si dà fuoco nella cittadina di Sidi Bouzid in segno di protesta per le disperate condizioni economiche del proprio paese e per la perdita del suo lavoro. Le manifestazioni di piazza che seguono la morte di Bouazizi sono animate dallo slogan “Libertà, giustizia e lavoro”. Per le strade della capitale i cortei sono animati da ragazzi e ragazze che desiderano una vita, un futuro migliore. A partire da questo momento, quindi prima della fuga dell’allora presidente tunisino Ben Ali, Yusuf Qaradawi - teologo di riferimento dei Fratelli musulmani, shaykh della televisione satellitare Al Jazeera e presidente del Consiglio Europeo per la Fatwa e la Ricerca con sede a Dublino – inizia a predicare che il vero jihad, la vera guerra santa, è quella in Tunisia contro il dittatore “miscredente”, giustificando le proteste anche dal punto di vista religioso, nell’ottica dell’ideologia dei Fratelli musulmani. Quando la “rivoluzione” si trasferisce a Piazza Tahrir al Cairo è già totalmente nelle mani del movimento fondato da Hasan al-Banna. In Egitto la Fratellanza anche durante il regime di Mubarak se da un lato era bandita dall’altro era tollerata e durante la Rivoluzione del Loto gestisce appieno le folle e le proteste. Ciononostante lo slogan che emerge in Egitto è “civile, civile” ovvero la richiesta di uno Stato democratico, non islamico.
Purtroppo la gioia e l’entusiasmo per la fuga di Ben Ali e Mubarak e per un futuro libertà si spengono con i risultati delle prime elezioni libere di entrambi i paesi. In Tunisia il movimento Al Nahdha, legato ai Fratelli musulmani e guidato da Rached al-Ghannouchi, riporta il 37,4% per un totale di 89 seggi su 217, in Egitto il Partito della Libertà e della Giustizia, espressione politica dei Fratelli musulmani, ottiene il 37,5% e il Partito al-Nour, espressione del salafismo ovvero degli ultraconservatori islamici, ottiene il 27,8%. In altre parole le libere elezioni portano al potere l’islam politico. Questo risultato ha portato all’elaborazione di nuove costituzioni dove “i principi eterni dell’islam”, nel caso della Tunisia, e la “sharia”, nel caso dell’Egitto, sono fonte della Legge. A prescindere dall’aspetto costituzionale, purtroppo per quanto riguarda la libertà dei cittadini poco è cambiato rispetto al passato. In Tunisia ad esempio si è passati da una censura in nome del regime a una censura in nome dell’islam, sino al punto da definire gli oppositori “nemici di Dio”. Sempre in Tunisia la condizione della donna, tutelata dal Codice dello Statuto Personale del 1956, viene messa a repentaglio dal governo islamico che ovviamente ha come riferimento il testo coranico e la sharia che considerano, nella migliore delle ipotesi, la donna valere la metà dell’uomo.
Per questi e tanti altri motivi la primavera si sta tristemente trasformando, purtroppo con il benestare dell’occidente, in un inverno per i cittadini egiziani e tunisini.
- Potrebbe spiegarci cosa sta succedendo in Egitto, il più popoloso dei Paesi coinvolti nei cambiamenti radicali, con l’ascesa al potere dei fratelli musulmani e del presidente Mursi, un “faraone islamico”?
- L’ascesa al potere dei Fratelli musulmani, scontata sin dall’inizio della rivoluzione, sta trasformando l’Egitto nel paese più islamico del Mediterraneo. I Fratelli musulmani, che spesso vengono definiti degli “estremisti moderati”, hanno intelligentemente raggiunto il potere convincendo l’occidente del loro rispetto del sistema democratico. Durante la campagna elettorale, ad esempio, per le elezioni legislative hanno tolto dal simbolo del loro partito ogni riferimento all’islam e al Corano, sostituendoli con i termini libertà e giustizia di immediata comprensione e di effetto. Purtroppo va ricordato altresì che si tratta di libertà e giustizia in contesto islamico, laddove quando si parla di libertà non viene contemplata la libertà di religione, non viene contemplata la possibilità per la musulmana di sposare il non musulmano, e laddove si parla di giustizia si tratta di giustizia islamica. Non solo, ma non andrebbe dimenticato il logo dei Fratelli musulmani che rappresenta un Corano e due spade incrociate e la parola “Preparatevi” che corrisponde all’incipit del molto eloquente versetto 60 della sura del Bottino: “Preparate contro di loro ogni cosa, forze e cavalli quanti potrete per seminare il terrore in chi è nemico di Dio e nemico vostro, e in altri ancora che voi non conoscete ma che Dio conosce; tutto quel che spenderete sul sentiero di Dio vi sarà ripagato, e non subirete alcun torto”.
l’Occidente. La proclamazione del primo presidente dell’epoca post-Mubarak nella persona del candidato dei Fratelli musulmani, Mohammed Morsi conferma la “primavera islamista”. Ma soprattutto conferma la connivenza dei governi occidentali con il movimento dei Fratelli musulmani.
"Manterremo tutti gli accordi e i trattati internazionali che abbiamo siglato con il mondo intero", ha detto Morsi nel suo messaggio alla nazione. Quindi, si dovrebbe arguire, anche gli accordi di Camp David.
Successivamente ha comunque dichiarato che "è necessario tornare alla normalizzazione dei rapporti con Teheran per rafforzarli in modo da creare un equilibrio a livello regionale" perché "una normalizzazione dei rapporti tra Iran ed Egitto è nell'interesse dei suoi popoli sono certo che rafforzando i rapporti politici ed economici tra i due paesi si verrebbe a creare un maggior equilibrio strategico nella regione". Un equilibrio che mira a limitare e a contrapporsi a Israele.
Nel suo rassicurante messaggio alla nazione Morsi ribadisce la sua intenzione a costruire “una nazione costituzionale, democratica e moderna”. Purtroppo tutto ciò contraddice quanto predicato in campagna elettorale. Davanti agli studenti dell’Università del Cairo aveva ripetuto il motto dei Fratelli musulmani: “Il Corano è la nostra costituzione, il Profeta è la nostra guida, il jihad è la nostra via e la morte in nome di Dio è il nostro obiettivo”. Ma non solo aveva anche dichiarato: “Oggi possiamo introdurre la sharia perché la nostra nazione potrà acquisire il benessere solo grazie all’islam e alla sharia. I Fratelli musulmani e il partito della Libertà e della Giustizia otterranno questi risultati”. Non resta che domandarsi quale sia il vero Morsi: il candidato oppure il presidente? E’ sufficiente uno sguardo al programma elettorale intitolato “Il progetto della Rinascita”. A pagina 3 si parla di livello valoriale e di linee di pensiero e si afferma: “Questo livello deriva dai fondamenti e dai principi dell’islam applicati in modo veritiero”. Ogni punto del programma è introdotto da un versetto coranico che ne suggella e giustifica i contenuti. La presunta moderazione di Morsi e dei Fratelli musulmani corrisponde, come spesso ha ribadito il loro mentore Yusuf al-Qaradawi, alla moderazione nella applicazione della sharia e nel raggiungimento dell’obiettivo finale ovverosia lo Stato islamico. Ha ragione l’editorialista Tarek al-Hamid quando, commentando l’elezione di Morsi, ha esclamato: “Allacciate le cinture di sicurezza!” Purtroppo non si tratterà di una turbolenza passeggera perché i Fratelli musulmani, come hanno più volte ribadito, una volta raggiunto il potere non lo lasceranno facilmente. E anche questa volta l’Occidente se ne accorgerà troppo tardi.
- Professoressa, nel mondo di oggi non si vedono i Paesi islamici veramente democratici. Come mai? Quale idea di democrazia ha l’islam?
- Anche in questo caso è una questione di codice linguistico. Di fatto ha ragione lo scrittore anglo-pakistano Hanif Kureishi nel sostenere che “l'islam non è compatibile con la democrazia”. In un’intervista Kureishi ha spiegato così quanto è accaduto nel proprio paese d’origine: “Il Pakistan è stato formato come Stato democratico per i musulmani, ma gli islamisti non sono capaci di essere democratici, perché mettono la religione davanti a tutto. Islam e democrazia non sono compatibili”. I fatti gli danno ragione. Se consideriamo gli Stati che si autodefiniscono “Repubblica islamica”, quali il Pakistan, l'Iran, le Comore, Mauritania e Afghanistan, in aggiunta all'Arabia Saudita che ha adottato il Corano come Costituzione, ebbene nessuno di loro è democratico. Ma più in generale dei 56 Paesi membri dell'Organizzazione per la Conferenza islamica e che hanno una popolazione a maggioranza musulmana, nessuno rispetta pienamente i parametri della democrazia sostanziale così come è concepita e praticata in Occidente. Nella gran parte dei casi la democrazia è trattata alla stregua di un rito formale, che si esaurisce nella messinscena delle regole del processo elettorale per legittimare il perpetuamento dei regimi autoritari al potere e violando comunque i diritti fondamentali della persona che sono l'essenza della democrazia sostanziale. La storia moderna e contemporanea ci insegna che i Paesi musulmani si sono avvicinati in qualche modo all'esercizio della democrazia soltanto quando si sono apertamente ispirati a un modello complessivo di società e di civiltà occidentale, con la separazione sostanziale della sfera religiosa da quella secolare. Perché il nodo principale risiede appunto nella pretesa dell'integralismo e dell'estremismo islamico di definire religiosamente ogni minimo dettaglio del vissuto e della quotidianità delle persone. Alla base c'è la realtà di una religione che, in assenza di un unico referente spirituale, sin dai suoi esordi ha fatto leva sull'interpretazione soggettiva del testo sacro producendo una fede che è plurale ma non pluralista, proprio perché non c'è mai stata la democrazia sostanziata dal rispetto verso la moltitudine di comunità, sette, movimenti e partiti che spesso, singolarmente, rivendicano di essere i detentori dell'unico vero islam. Persino i musulmani praticanti, prevalentemente legati al movimento dei Fratelli musulmani, che beneficiano della democrazia in Occidente, compresi gli autoctoni convertiti all'islam, considerano la democrazia come uno strumento utile al radicamento del loro potere con il fine dichiarato o tacito di sostituirla appena possibile con la “shura”, cioè un organismo consultivo, dove ai partecipanti è concesso soltanto definire le modalità attuative della sharia, la legge islamica. Perché all'uomo non è permesso anteporre la propria legge a quella divina. Fede e ragione vengono ritenute incompatibili. E anche se di fatto non esiste una versione unica e condivisa della sharia, tutti gli integralisti e gli estremisti islamici sono però d'accordo nel rifiuto, esplicito o implicito, della democrazia sostanziale.
- Non si può parlare del futuro degli Stati musulmani senza parlare di sharia. L’islam è una religione “totale” perché si ritiene non soltanto la religione ma anche la società e lo Stato. Allora la legge islamica riguarda non soltanto la religione, ma anche tutta la società e lo Stato. La legge islamica è conciliabile con la democrazia ?
- Prendiamo ad esempio la costituzione egiziana e il tanto dibattuto articolo 2, rimasto invariato nella nuova costituzione appena approvata. Qui si sancisce che l’islam è religione di Stato e che la sharia è la fonte principale della Legge. Ebbene in base a questo articolo, già in epoca Mubarak non poteva essere rilasciato alcun documento di identità a chi non appartenesse a una delle tre religioni monoteistiche. Il fatto di per sé già discriminatorio che vuole riportata sulla carta d’identità l’appartenenza religiosa ha visto la comunità baha’i egiziana privata della possibilità di ottenere un documento fondamentale per l’attività lavorativa, per la stipula di qualsiasi contratto.
Sharia e libertà religiosa sono inconciliabili. Laddove c'è la sharia là c'è la persecuzione delle minoranze religiose, cristiani in testa. La condizione dei copti in Egitto lo dimostra.
Quando un governo o un partito annuncia che la legge islamica sarà il fondamento dello stato, dovrebbe scattare subito l'allarme. E' inutile fare gli appelli o approvare mozioni e risoluzioni per condannare la persecuzione dei cristiani quando si è fatto di tutto per mandare le forze islamiste al governo. Quando è possibile, meglio pensarci prima.
Bisognerebbe ascoltare l’appello dell’intellettuale tunisino Lafif Lakhdar: “Bisogna abolire la sharia, la legge islamica, ovvero le pene corporali, come la lapidazione della donna per adulterio e la decapitazione per apostasia. Bisogna abolirla in tutti i paesi musulmani per affermare l’uguaglianza tra uomo e donna, tra musulmano e non musulmano, perché per l’islam la disuguaglianza tra uomo e donna e musulmano e non musulmano sono concetti eterni, che non possono essere messi in discussione”.
- La sharia introduce tre fondamentali disuguaglianze: tra un musulmano e un non musulmano, tra l’uomo e la donna, tra il libero e lo schiavo. In che modo la prima di queste disuguaglianze influisce sulla vita delle minoranze cristiane nelle società islamiche?
- Aiuta a chiarire tutto questo il testo fondamentale Il lecito e l’illecito nell’islam (“al-halal wa-al-haram fi al-islam”) di Yusuf Qaradawi nel capitolo riservato a “I rapporti del musulmano con il non musulmano” si legge: “Quelli fra loro che vivono in uno Stato islamico hanno una situazione particolare. I musulmani hanno convenuto di chiamarli gente della dhimma.
Questa parola significa trattato, patto. E’ quindi questo un termine che lascia intendere che godono del patto di Allah, del patto del Suo Inviato, la pace e la benedizione su di lui, e del patto della comunità islamica secondo i quali vivono in tutta pace e sicurezza all’ombra dell’islam.” Più avanti Qaradawi aggiunge: “C’è una domanda che turba qualcuno e di cui alcuni discutono, cioè: come si può esser buoni, gentili e conviviali verso i non musulmani quando il Corano vieta di essere gentili con ì miscredenti e vieta di prenderli come amici intimi o alleati: ‘O voi che credete, non sceglietevi per alleati i giudei o i nazareni sono alleati gli uni degli altri.
E chi li sceglie come alleati è uno di loro. In verità Allah non guida un popolo di ingiusti’ (Corano V, 51)”. Lo shaykh spiega che questo è il caso di coloro che sono nemici dell’islam. Quindi se cristiani e ebrei stringono un trattato e, come dice il Corano stesso, “pagheranno il tributo uno per uno, umiliati” (Corano IX, 29), allora vanno protetti, ma nel momento in cui si ribellano vanno combattuti.
E’ evidente che non tutti i musulmani seguono gli insegnamenti di Qaradawi, ma la maggior parte dei musulmani praticanti segue le sue trasmissioni, legge i suoi libri e la maggior parte dei predicatori islamici lo ritengono un’autorità.
- Come mai il mondo democratico tollera la legge sulla blasfemia che vige in certi Paesi islamici (vedi Pakistan e il caso di Asia Bibi)?
- La legge sulla blasfemia in Pakistan è da un lato una delle più severe nel mondo islamico dall’altro viene regolarmente usata per attaccare le minoranze del paese, in modo particolare i cristiani e gli ahmadiyya. Il capitolo XV del Codice Penale “Offese in materia di religione” parla chiaro. Il reato di blasfemia riguarda chiunque “deturpi un luogo di culto con l’intenzione di insultare qualsiasi religione”, chiunque “compia atti deliberati o criminosi volti a oltraggiare i sentimenti religiosi, insultando una religione o un credo religioso”, chiunque “denigri il Santo Corano”, chiunque “pronunci parole deliberatamente per ferire i sentimenti religiosi”, chiunque “faccia osservazioni avvilenti nei confronti di personaggi sacri” e così via. E’ assurdo che il mondo occidentale non solo stia a guardare, ma pensi addirittura di introdurre leggi contro la cosiddetta islamofobia che si trasformerebbero in leggi contro la libertà di espressione tanto cara all’occidente.
- Parlando della sorte delle minoranze dobbiamo affrontare il problema dei diritti umani. Non è un segreto che tanti Paesi islamici si rifiutano di applicare integralmente la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo proclamata dalle Nazioni Unite. Ma non tutti sanno che il testo di tale Dichiarazione in arabo, cioè destinato ai Paesi islamici, è stato “manomesso”. Potrebbe spiegarci in che cosa consiste questa manipolazione?
- La Dichiarazione Universale del 1948 non è stata accettata dai paesi islamici, che nel 1990 hanno elaborato la Dichiarazione del Cairo dei diritti dell’uomo nell’islam. La Dichiarazione del Cairo è esplicitamente in antitesi alla Dichiarazione Universale. Sin dal preambolo si pone la religione islamica al di sopra delle altre fedi: “riaffermando la funzione civilizzatrice e storica della comunità islamica, che è la comunità migliore che Dio abbia mai creato, la quale, unendo la vita presente all’aldilà e a conoscenza alla fede, ha donato all’umanità una civiltà universale ed equilibrata; riaffermando anche il ruolo auspicato per questa comunità al giorno d’oggi, come guida di un’umanità precipitata nella confusione a causa di credenze e ideologie differenti e contradditorie, in quanto capace di offrire una soluzione per i problemi cronici che affliggono questa civiltà materialista”. Non solo, ma nello stesso preambolo si ribadisce il divieto di opporsi a quanto prescritto dalla sharia “nella certezza che i diritti fondamentali e le libertà universali nell’islam facciano parte della religione islamica e che nessuno abbia il diritto di ostacolarli”. Queste affermazioni assumono nella Dichiarazione del Cairo valore universale laddove all’articolo 10 si legge: “L’islam è la religione naturale dell’uomo. Non è lecito sottoporre quest’ultimo a una qualsivoglia forma di pressione o approfittare della sua eventuale povertà o ignoranza per convertirlo a un’altra religione o all’ateismo”. Di conseguenza tutta l’umanità è naturalmente musulmana e non esiste libertà di religione. All’articolo 19 si legge: “Non si dà alcun crimine né alcuna pena, se non conformemente alla Legge islamica” il che corrisponde ad accettare le pene corporali previste dalla sharia, compresa la condanna a morte dell’apostata che rende pubblica la propria conversione. E’ evidente che l’interpretazione islamica dei diritti dell’uomo è ben lontana da quella della Dichiarazione universale.
- Nel Corano ci sono tante contraddizioni: ci sono versetti che proclamano che non c’è costrizione nella religione, e la altre che autorizzano i musulmani ad imporre l’islam con la forza (ne ha parlato durante il penultimo Sinodo in Vaticano il vescovo libanese Raboula Antoine Beylouni). Come se ne esce da questa ambiguità che viene sfruttata dai fondamentalisti islamici?
- Il Corano contiene tutto e il contrario di tutto. L’esempio più banale è quello che riguarda le bevande inebrianti che non sono vietate nel periodo meccano, mentre lo sono in quello medinese. Le ambiguità e le contraddizioni sono numerose. Per questa ragione i primi giuristi dell’islam hanno introdotto la regola dell’abrogato e dell’abrogante in base alla quale quando ci si trova innanzi a due versetti coranici in contraddizione prevale l’ultimo rivelato, nel caso delle bevande inebrianti prevale quindi il divieto. Purtroppo la suddetta regola non può ovviare al problema fisiologico dell’islam: la mancanza di un’autorità, simile al Papa per i cristiani. L’islam è per definizione la religione più laica poiché non prevede alcun intermediario tra l’uomo e Dio, quindi nemmeno un’autorità che possa dirimere in caso di dubbio o ambiguità dei testi. In base a quanto appena detto per assurdo potrebbero esistere tanti islam diversi tanti quanti sono i musulmani al mondo. Quindi è necessario tenere presente che bisognerebbe parlare sempre di islam al plurale e soprattutto che nessuno, nemmeno i Fratelli musulmani, può arrogarsi il diritto di parlare in nome dell’islam.
- Si può constatare che non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti i terroristi sono musulmani. Gli ambienti religiosi islamici non estremisti raramente condannano in modo deciso e inequivocabile la violenza e il terrorismo, trovando mille scusanti. Per di più il terrorismo viene visto come un gesto religioso che dà lode ad Allah e purifica il mondo distruggendo i nemici dell’islam. L’islam è veramente inseparabile dalla violenza?
- Come ha avuto modo di affermare il giornalista saudita ‘Abd al-Rahman al-Rashed dopo la strage di Beslan è vero che “la maggior parte dei terroristi sono musulmani”. Il problema della condanna del terrorismo da parte del mondo islamico si è posto in modo particolare dopo la strage dell’11 settembre. Molte sono state le condanne dell’atroce attentato, ma anche in questo caso bisogna chiedersi che cosa si intenda da parte degli estremisti islamici con terrorismo. Ancora una volta ci viene in aiuto Yusuf Qaradawi. Costui il 27 settembre 2001 si premura di emettere un’ennesima fatwa, un responso giuridico islamico, in cui si dichiara: “Tutti i musulmani dovrebbero unirsi contro coloro che terrorizzano le persone che sono in pace e che spargono il sangue di coloro che non sono in guerra senza un motivo previsto dalla legge islamica”. Anche in questo caso è necessario domandarsi quali siano i motivi previsti dalla legge islamica. La risposta arriva da al-Qaradawi stesso nel mese di settembre 2004 durante un convegno del sindacato della stampa egiziano al Cairo durante il quale ha emesso il proprio giudizio sullo statuto dei civili americani in Iraq: “Tutti gli americani presenti in Iraq sono combattenti quindi è un dovere religioso combatterli sino a quando non lasceranno la nazione”. Non solo, ma lo shaykh ha tenuto a specificare che “non esiste differenza alcuna tra personale militare statunitense e civili in Iraq perché entrambi hanno invaso la nazione […] e i civili si trovano in luogo per servire le forze occupanti” . Quindi personale militare e civili americani in Iraq non rientrano nella definizione di “vittime innocenti”.
Lo stesso ragionamento viene avanzato quando si tratta di condannare gli attacchi suicidi in Israele. L’8 luglio 2004, intervistato dalla Bbc, al-Qaradawi affermava: “Non si tratta di suicidio, si tratta di martirio nel nome di Dio, i teologi e i giurisperiti islamici hanno discusso la questione. Considerandola una forma di jihad. […] Le donne israeliane non sono come le donne nella nostra società perché le donne israeliane sono militarizzate. Inoltre, ritengo questo tipo di operazione di martirio un’indicazione della giustizia di Dio Onnipotente. Iddio è giusto. Attraverso la sua infinita giustizia ha dato al debole quello che i potenti non possiedono, ovvero la capacità di trasformare i loro corpi in bombe come fanno i palestinesi”. Quindi se il terrorismo viene condannato, la resistenza invece è lecita.
Ne consegue che le condanne del terrorismo da parte di personaggi come al-Qaradawi e dei suoi seguaci, legati all’ideologia dei Fratelli musulmani, sono condanne apparenti e pericolose, condanne che giocano con le parole, riuscendo talvolta a presentarsi come “moderate”.
- Uno dei più stretti alleati dell’Occidente tra i Paesi islamici è l’Arabia Saudita, uno dei Paesi più antidemocratici, governato dalla monarchia teocratica, che si pone come priorità della sua politica l’islamizzazione del mondo. Come mai il mondo libero e democratico è cosi tollerante verso questo stato teocratico e antidemocratico?
- Purtroppo l’Occidente, molto spesso antepone gli interessi economici ai diritti umani fondamentali. Il caso dell’Arabia Saudita è ovviamente il più eclatante poiché si tratta di un Paese dove vengono applicate regolarmente le pene corporali previste dalla sharia, dove le donne non possono guidare e non possono muoversi se non previo consenso del proprio guardiano, ovvero di un maschio adulto della famiglia. L’ipocrisia e la connivenza dell’Occidente diventano ancora più lampanti nel caso di alcune convenzioni internazionali, quali la Convenzione per l’Eliminazione della Discriminazione nei Confronti delle Donne (CEDAW) che è stata sottoscritta da molti paesi islamici, compresa l’Arabia Saudita, con la postilla “a patto che non contravvenga la sharia”, laddove la sharia discrimina la donna per definizione quando la considera la metà dell’uomo. L’Occidente dovrebbe cercare di capire da che parte stare se dalla parte delle persone, donne o uomini che siano, oppure dalla parte di dittatori e tiranni che in nome di Dio privano i propri sudditi delle libertà fondamentali e questo vale per l’Arabia Saudita, ma anche per la Tunisia e l’Egitto dei Fratelli musulmani.
- Il caso dell’Arabia Saudita può essere un buon pretesto per parlare della reciprocità nei rapporti con i Paesi islamici. Gli islamici che vivono in Occidente pretendono tutte le libertà che offre la nostra democrazia, compresa la piena libertà di religione; certi Paesi islamici, come Arabia Saudita appunto, finanziano da noi la costruzione delle moschee e dei centri islamici e nello stesso tempo negano l’elementare libertà religiosa ai fedeli di altre religioni (in Arabia Saudita addirittura abbiamo a che fare con la persecuzione). Perché gli stati democratici non usano la giusta regola di reciprocità verso questi Paesi?
- Quando si affronta il tema dei rapporti tra cristianesimo e islam, inevitabilmente si giunge a quello che può e deve essere considerato un nodo cruciale: la reciprocità. E quando si parla si reciprocità il tema della costruzione delle chiese, in modo particolare nella penisola arabica, è inevitabile.
L’intellettuale kuwaitiano nel 2007 Khalil Ali Haidar si è domandato “Chi impedisce la costruzione delle chiese nella penisola arabica?” e ha ricordato il testo della fatwa emessa nel 1989 che così recita: “L’edificazione di qualsiasi luogo di culto appartenente a non musulmani sul territorio dell’islam è vietata, così come è vietato affittare a non musulmani locali da adibire a chiese o templi”. La rabbia di Ali Haidar è incontenibile: “Queste argomentazioni soddisferebbero i salafiti e gli altri islamisti se fossero utilizzati dagli europei, dagli americani e dagli altri ‘cristiani’ contro le ‘minoranze islamiche’ che vivono tra loro? Ne sarebbero forse appagati gli shaikh musulmani nei nostri paesi e in Europa? Gli scrittori musulmani e le televisioni satellitari dell’islam politico sarebbero soddisfatti?” E poi l’attacco diretto ai Fratelli Musulmani: “L’atteggiamento ostile alla costruzione delle chiese e alla libertà di praticare il proprio culto non è un’esclusiva dei salafiti, è un atteggiamento antico e radicato, talvolta sottaciuto per interessi precisi, nei Fratelli Musulmani.
In una loro rivista si è letto: ‘Nel periodo dell’indipendenza fu concesso, per la prima volta nella storia del Kuwait, anzi nella storia dei paesi del Golfo, anzi nella storia della penisola arabica, ai cristiani cattolici di costruire una chiesa e tutto questo avvenne nel silenzio e nella calma perché i musulmani dormivano…’.”
Ali Haidar conclude descrivendo qualcosa che accade anche nelle città italiane: “Le ‘minoranze islamiche’ a Londra, Parigi Berlino non si astengono dall’esibire i loro ristoranti, i loro libri, il loro digiuno, i loro doveri, la loro carne halal, i loro vestiti, le loro barbe e i loro sentimenti, anzi manifestano apertamente il loro odio nei confronti degli inglesi e dei francesi infedeli… tutto questo è forse consentito ai non musulmani nei nostri paesi… in particolare ai ‘cristiani!?”
Forse l’Occidente dovrebbe imparare ad ascoltare le voci veramente libere che provengono dal mondo islamico invece di privilegiare i cosiddetti rappresentanti dell’islam, presunti detentori del vero islam, a scapito delle vittime dell’estremismo islamico ovvero della maggior parte dei musulmani.
- Nel mondo di oggi è di moda parlare di dialogo. Certi cattolici si improvvisano interlocutori del mondo islamico. Secondo Lei, che tipo di dialogo è possibile con il mondo musulmano e con chi noi, cattolici, dovremmo dialogare?
- Proprio per la mancanza di un’autorità nell’islam, il dialogo è quasi impossibile. Perché con quale islam dialogare? Con quali rappresentanti di quale islam dialogare? Ribadisco, l’islam è plurale e purtroppo le controparti del dialogo sono spesso i rappresentanti dell’islam estremista legato ai Fratelli musulmani che, come abbiamo visto nella Dichiarazione del Cairo, considerano l’islam la religione naturale dell’uomo. Non solo, ma teniamo presente che il musulmano praticante considera l’islam il sigillo delle religioni e ritiene che cristianesimo e ebraismo abbiano alterato i testi sacri per non riconoscere l’islam. Tutto questo non significa che non si debba dialogare con tutti quei musulmani perbene che condividono i valori universali, primo fra tutti quello della sacralità della vita senza se e senza ma.