CARD. MARC OUELLET – UN PERSONAGGIO PIU IN VISTA DELLA CURIA DI BENEDETTO XVI
Włodzimierz Rędzioch intervista card. Marc Ouellet in occasione del secondo anniversario dell’inizio della sua importante missione come prefetto della Congregazione per i Vescovi
Una volta chiesi al compianto card. Andrzej-Maria Deskur se dopo la morte di Paolo VI si aspettava l’elezione di un cardinale non italiano. A mia sorpresa mi ha risposto decisamente: “Non soltanto mi aspettavo l’elezione di un cardinale non italiano, ma di un concreto porporato, il card. Karol Wojtyła”. Quando gli chiesi di spiegarmi, come nasceva questa sua previsione, da grande conoscitore della Curia e dei “meccanismi” vaticani, mi rispose: “Si sa che il nuovo Pontefice viene eletto dai cardinali, ma, in un certo senso, il suo grande elettore è anche il suo predecessore che sceglie i membri del Collegio Cardinalizio, determinando il risultato del conclave. Paolo VI apprezzava molto il card. Wojtyła e, direi, che in qualche modo lo preparò per succedergli. Prima, lo volle predicatore degli esercizi spirituali in Vaticano per la Curia Romana per far conoscere il suo grande sapere e la profonda spiritualità. Poi lo nominò relatore del Sinodo sull’evangelizzazione. Era una sorpresa per tutti perché ci si aspettava un relatore da qualche Paese di missione. Ma in questo modo anche i cardinali del Terzo Mondo potevano conoscere l’Arcivescovo di Cracovia e apprezzare il suo zelo pastorale e missionario. Non è di poco conto il fatto che Paolo VI incoraggiava il card. Wojtyła a viaggiare per il mondo per conoscere meglio la realtà delle Chiese locali”.
Se ogni Papa è un “grande elettore” del suo successore con le sue decisioni e le scelte personali “determina” in qualche modo il risultato del conclave, allora bisognerebbe analizzare certi fatti per capire chi potrebbe essere il “candidato” di Benedetto XVI alla Sua successione.
- Quando nell’anno 2010 bisognava scegliere il nuovo Prefetto alla guida di una delle più importanti congregazioni, la Congregazione per i Vescovi, Benedetto XVI ha scelto l’allora arcivescovo di Quebec card. Marc Ouellet.
- Quando il 10 marzo del 2011 alla Sala Stampa della Santa Sede veniva presentato il libro di Benedetto XVI “Gesù di Nazareth - Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione. Chi presentava questa importantissima opera del Papa-teologo? Il card. Marc Ouellet!
- Ad aprile si sono svolti gli esercizi spirituali del movimento Comunione e Liberazione (una delle più dinamiche realtà nella Chiesa non soltanto in Italia ma anche in varie parti del mondo). Il 22 aprile alla conclusione degli esercizi la santa Messa per 26 mila partecipanti è stata celebrata dal card. Ouellet (d’altronde amico del defunto fondatore di C.L. don Giussani).
- Quando nei mesi di aprile-maggio a Treviri in Germania si teneva l’ostensione della Sacra Tunica di Gesù, il Papa ha scelto come suo legato il card. Ouellet che il 13 aprile ha presieduto le celebrazioni d’inaugurazione.
- Dall’11 al 14 maggio 2012 a Lourdes si è svolto il 54° pellegrinaggio internazionale militare. Il card. Ouellet ha presieduto tale pellegrinaggio.
- A giugno si è svolto in Irlanda l’importantissimo 50° Congresso Eucaristico Internazionale. Il Papa ha mandato come Suo legato il card. Ouellet.
- A maggio, dal 21 al 24, si è svolta a Roma la 64° assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana (una delle più numerose conferenze episcopali nel mondo con tanti cardinali, cioè gli elettori nel futuro conclave). Chi ha celebrato nella Basilica di San Pietro la Messa per i 232 membri della CEI? Il card. Marc Ouellet.
Ovviamente non possiamo leggere nei pensieri del Papa e sapere perché Benedetto XVI da tanta visibilità all’attuale Prefetto della Congregazione per i Vescovi, ma è un fatto innegabile che questo presule canadese in pochi anni è diventato uno dei più importanti personaggi della Chiesa cattolica. Il suo curriculum, ricco di studi e di tante esperienze pastorali, spiega questa “ascesa”.
Marc Ouellet è nato l’8 giugno 1944 a Lamotte nella diocesi canadese di Amos. La sua vocazione è nata negli anni 60. che furono in tutto l’Occidente, gli anni della contestazione; si contestava ogni autorità, anche la Chiesa. Malgrado questa atmosfera poco favorevole il giovane Marc è riuscito a seguire la sua vocazione sacerdotale e nel 1968 è diventato sacerdote diocesano. Nel 1972 ha deciso di entrare nella Compagnia dei Sacerdoti di San Sulpizio (Sulpiziani), il cui carisma è la formazione dei preti.
Comincia, per studi e lavoro, a viaggiare: prima di tutto in Colombia, in cioè Sud America, poi nella Roma pontificia (studi all’Angelicum e alla Gregoriana), e anche in Austria (Innsbruk) e Germania (Passau) per gli studi di lingua tedesca. Gli studi e i viaggi arricchiscono molto questo giovane prete del Quebec. Negli anni 70 e 80, lavorando nei vari seminari della Colombia, ha avuto la possibilità di imparare la lingua spagnola e di conoscere la Chiesa in America Latina, continente dove vive la maggioranza dei cattolici del mondo.
Da teologo, è stato legato alla rivista Communio e al grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar.
Nel 1996-1997 è tornato a Roma per insegnare all’Istituto Giovanni Paolo II per la Famiglia. Nel 2001 il Papa lo nomina Segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, ma il suo soggiorno è breve perché l’anno successivo Giovanni Paolo II l’ha rimandato in Canada, nominandolo il 14° arcivescovo metropolita di Quebec e primate del Canada e elevandolo alla dignità cardinalizia nel 2003. In Canada il card. Ouellet ha dovuto affrontare la profonda secolarizzazione della società canadese francofona, fino a poco tempo fa molto religiosa e legata alla Chiesa cattolica, e la drammatica crisi vocazionale. Lo fa con grande zelo e coraggio, guadagnando la stima dei fedeli ed anche del Papa. Quando nel 2010 Benedetto XVI deve scegliere il successore del card. Re alla guida della Congregazione per i Vescovi, la scelta cade sull’arcivescovo di Quebec. E il card. Ouellet torna di nuovo a Roma per diventare uno dei più stretti collaboratori del Santo Padre.
In occasione del secondo anniversario della sua nomina a Prefetto della Congregazione per i Vescovi, ho incontrato il card. Ouellet per parlare della sua missione nella Chiesa.
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Włodzimierz Rędzioch: - Sette anni dopo la Sua nomina ad arcivescovo di Quebec, il 30 giugno del 2010 Benedetto XVI L’ha chiamato in Vaticano per dirigere una delle più importanti congregazioni, la Congregazione per i Vescovi. E’ stato difficile lasciare la diocesi per un lavoro, pur prestigiosissimo, in Curia?
Card. Marc Ouellet: - E stato difficile perché durante sette anni ho stabilito un rapporto pastorale e spirituale molto profondo con la gente di Quebec che è la mia Patria. Non pensavo ad altri compiti quindi la chiamata del Papa è stata per me una sorpresa. Ma devo dire che lasciare Quebec e venire a Roma era per me un distacco affettivo difficile.
- Potrebbe dirci in poche parole di che cosa si occupa la Congregazione per i vescovi?
- La Congregazione dei Vescovi si occupa di tutto ciò che riguarda le diocesi: la creazione delle diocesi, la soppressione di esse, ma soprattutto la preparazione delle nomine vescovili. Per preparare le nomine bisogna lavorare in stretto contato con i Nunzi Apostolici e le Conferenze Episcopali per raccogliere tutta la documentazione che riguarda gli eventuali candidati da proporre al Santo Padre.
Un altro compito della Congregazione è di seguire il governo delle diocesi (interveniamo se ci sono i problemi particolari in qualche diocesi per risolverli).
- Chi La coadiuva nel Suo lavoro?
- I principali responsabilità della Congregazione sono tre: il Prefetto, il Segretario e il Sotto-Segretario. Poi abbiamo circa 30 persone, la stragrande maggioranza sono i sacerdoti, che lavorano nel nostro dicastero.
- Lei, da Prefetto della Congregazione per i Vescovi, ha questo grande privilegio d’incontrare regolarmente il Santo Padre (di solito il sabato). Come si svolgono questi incontri, se può svelarlo?
- Sono gli incontri di lavoro che si svolgono con molta semplicità e cordialità. Tutto l’incontro è concentrato sul rapporto che io porto con me: il Santo Padre riceve in anticipo tale rapporto perciò conosce il suo contenuto. Allora possiamo scambiare le nostre riflessioni e il Papa prende le decisioni.
- Secondo Lei, Eminenza, quali qualità dovrebbe avere un vescovo cattolico in questo difficile momento della nostra storia?
- Deve essere un uomo di fede salda: la cosa più importante è la fede del pastore. Deve essere un uomo preparato intellettualmente capace non solo di predicare la fede ma di difenderla. Questo è un tratto che san Paolo sottolinea quando parla dei vescovi.
Credo che abbiamo bisogno di uomini coraggiosi. Nella cultura si vedono di meno i valori cristiani e i mezzi di comunicazione sono talvolta molto critici nei confronti della Chiesa. Quindi ci vuole coraggio per affrontare questi attacchi e per proteggere i fedeli da tutte queste correnti anticristiane e per farli mantenere la fede.
- Ci sono i casi contrari, cioè il rifiuto del candidato scelto per diventare vescovo?
- E’ vero. Ci sono i casi di rifiuto. Se qualcuno rifiuta bisogna rispettare la coscienza della persona (qualcuno deve avere motivi seri per non accettare). In tale caso si chiede al Santo Padre di dispensare la persona dall’accettare la nomina affinché la persona rimanga tranquilla con la propria coscienza.
- Dietro il rifiuto di accettare la nomina vescovile può essere semplicemente la paura di tale compito?
- Se qualcuno ha paura significa che non ha abbastanza fede. Se non ha fede forte allora è giusto che non accetti.
- Secondo Lei, Eminenza, il meccanismo delle consultazioni per scegliere un vescovo funziona bene e permette di scegliere al Santo Padre il candidato migliore?
- Spero, anche se non c’è garanzia al 100% che i candidati che presentiamo al Santo Padre sono i migliori possibili, perché possiamo anche sbagliare. Ma il processo di ricerca è fatto con serietà. Ci sono delle consultazioni con delle persone competenti che nel “segreto pontificio” possono dire tutto quello che sanno e pensano, senza paura che le loro dichiarazioni siano conosciute dalle persone interessate. In questo modo si raccolgono delle informazioni su ogni candidato che vengono analizzate durante la seduta plenaria di 30 cardinali e arcivescovi dove ognuno può esprimere il suo parere ed io, come prefetto, porto al Santo Padre il risultato di quel discernimento. Al Papa spetta la decisione finale.
- Che cosa intendiamo per il “segreto pontificio”?
- Le persone interrogate devono mantenere il Segreto pontificio”, cioè non svelare a nessuno su chi sono state interrogate, il contenuto delle loro dichiarazioni e neanche il fatto di essere stati consultati.
- Il Santo Padre può scegliere autonomamente il suo candidato, al di fuori delle vostre proposte?
- Certo. E’ Lui il Capo del Collegio dei successori degli Apostoli e può decidere autonomamente. La nostra Congregazione prepara i dossier per il Santo Padre ma Lui riceve delle notizie e informazioni sulle persone da tante parti. Allora, senza trascurare i pareri della nostra Congregazione, può decidere in tutta la libertà.
- Uno dei compiti della Sua Congregazione è l’organizzazione delle visite dei vescovi in Vaticano previste dal diritto ecclesiastico, cosiddette visite “ad limina Apostolorum”. Ma in tutto il mondo i vescovi sono ormai 5 mila. Che tipo di difficoltà crea questo fatto?
- La normativa dice che ogni vescovo dovrebbe compiere la vista “ad limina” ogni 5 anni, ma i vescovi sono tanti e anche se la normativa non è ancora cambiata ma in pratica allora i tempi si sono allungati a 7 anni. C’è anche un certo limite per le visite private dal Papa: le tradizionali visite private dei singoli vescovi di 15 min. sono ancora possibili ma sono più scarse. Adesso i vescovi incontrano il Santo Padre in piccoli gruppi.
- Il suo ruolo di Prefetto della Congregazione per i Vescovi La mette in condizione di conoscere la realtà ecclesiastica di tanti Paesi e conoscere i vescovi da tutto il mondo. Da questo Suo punto privilegiato d’osservazione come vede la situazione della Chiesa cattolica e lo “stato della fede” nel mondo?
- C’è una crisi di fede, specialmente nel mondo Occidentale. Perciò non a caso da anni si parla della nuova evangelizzazione e Benedetto XVI ha proclamato l’Anno della Fede. La situazione è preoccupante e questo si vede nel calo delle vocazioni e nelle difficoltà che riscontrano i sacerdoti.
Penso che la nuova evangelizzazione si potrà fare sulla base della rinnovata e più intensa comunione ecclesiale. Vanno bene le idee nuove, i progetti nuovi, ma ciò che convince è la vera comunione dentro la Chiesa. Se noi non siamo in comunione gli uni con gli altri allora la presenza di Dio non è palpabile e la Buona Novella del Vangelo non passa.
- I documenti che producono i vari organismi della Chiesa, i convegni che si organizzano, tante belle parole che si sentono, non suscitano la fede di un uomo di oggi. La gente trova la fede, si avvicina alla Chiesa grazie ai veri testimoni del Vangelo. Come far diventare i credenti gli autentici testimoni del messaggio evangelico?
- La famiglia è la chiave per il futuro dell’evangelizzazione. Oggi c’è la crisi antropologica: l’assenza di Dio fa sparire anche il senso dell’uomo. Quindi c’è bisogno di ritrovare l’identità dell’uomo. Tale identità è sempre in relazione con gli altri e le relazioni fondamentali sono le relazioni familiari. Bisogna riscoprire la grazia di Dio nel sacramento del matrimonio che è la chiave per il futuro. Da famiglie nuove e generose nascono vocazioni.
- Parlando della famiglia e del matrimonio, volevo ricordare che Lei, Eminenza, insegnava all’Istituto Giovanni Paolo II per la Famiglia a Roma. Oggi uno dei nemici della famiglia intesa come l’unione di un uomo ed una donna, è l’ideologia gender. Quali sono i rischi chi questa ideologia che vuole imporre una nuova visione dell’uomo, una nuova antropologia?
- E’ una nuova antropologia che non ha più il fondamento divino, il fondamento biblico. Noi siamo creati all’immagine e alla somiglianza di Dio. Dio è relazionale nella complementarietà di Persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. Allora non solo individuo ma anche la famiglia nella sua complementarietà è l’immagine di Dio. Invece questa ideologia fa sparire la naturale complementarietà dei sessi, la riduce ad un fattore culturale, nega che l’uomo riceve la sua identità da Dio e in questo senso nega l’opera di Dio, diventando l’antropologia senza Dio. Nell’ottica di questa ideologia l’uomo può sceglie chi vuole essere, può “rifarsi” da sé, può realizzarsi da sé solo sulla base della volontà di potere. Già nella Genesi si parla di questo: vogliamo diventare come Dio, ma senza Dio. Invece Dio vuole “divinizzarci” nella Grazia, cioè nel libero scambio d’amore tra Lui e noi in Gesù Cristo.
Le varie lobbies vogliono imporre alla gente questa ideologia anche attraverso le legislazioni statali. Allora la Chiesa deve proporre la verità sull’uomo nella luce della Rivelazione.
- Quali grandi sfide la Chiesa deve affrontare oggi?
- La grande sfida riguarda la globalizzazione delle comunicazioni che ha creato un mondo nuovo, un mondo digitale. Dobbiamo allora vedere come inserirci in questo mondo, come metterlo anche al servizio del Vangelo. Dobbiamo esserci presenti per offrire a tutti la luce del Vangelo. In questo campo io non ho soluzioni tecniche e strategiche, ma vedo che qui c’è una grande sfida.
- Lei, Eminenza, viaggia spesso e conosce bene le realtà ecclesiali nel mondo. Dove vede i segni di speranza nella Chiesa?
- Li vedo prima di tutto nei grandi movimenti ecclesiali, nelle molte nuove comunità (penso ai Focolarini, a Comunione e Liberazione, alla Comunità di Sant’Egidio, il Cammino Neocatecumenale, al Movimento Carismatico, in Polonia a Fede e Luce). Lì c’è una nuova evangelizzazione in atto che già produce i frutti: ho potuto constatare questo in vari parti del mondo. In queste realtà c’è la spinta verso la vita evangelica e la vita di famiglia, nascono le vocazioni nuove.
La realtà del Vangelo è l’incontro con Gesù, il Risorto, che affascina e che fa nascere la comunione. E dove c’è la comunione c’è la Chiesa. Le nuove comunità sono la nuova realtà della Chiesa che può rivitalizzare le parrocchie e il tessuto ecclesiale.
- Lei, Eminenza, conosce bene l’America Latina, il continente più “cattolico”. Come sta cambiando la situazione della Chiesa sotto la spinta della secolarizzazione e del proselitismo delle sette?
- Direi che malgrado tutto, la situazione rimane positiva. Per tanti decenni la Chiesa in America Latina puntava sui temi della giustizia.
- La famosa scelta preferenziale per i poveri…
- Appunto. Questo campo non si può abbandonare, ma non possiamo risolvere tutti i problemi sociali del mondo. Invece recentemente - specialmente dopo la svolta di Aparecida - si è puntato sulla principale missione della Chiesa: annunciare Gesù al mondo. Quindi vedo anche in America Latina uno slancio nuovo per la missione: è stata organizzata una missione continentale della durata di 10 anni (dal 2007 al 2017). E’ una bella testimonianza per tutto il mondo. Allora questo continente rimane per la Chiesa il “Continente della Speranza”.