L’attentato nei ricordi del “custode” del Papa

Włodzimierz Rędzioch

È entrato nel servizio della vigilanza pontificia nel giugno 1978. Non poteva prevedere allora che l’anno dell’inizio del suo servizio in Vaticano sarebbe passato alla storia come “l’anno dei tre Papi”. E così da giovane vigilante Antonio Fabrizio assistette alla morte e i funerali di Paolo VI, all’elezione e improvvisa scomparsa di Giovanni Paolo I, al nuovo conclave con un esito incredibile: l’elezione del primo papa straniero nei tempi moderni, Giovanni Paolo II. Il nuovo Papa attirava tanta gente allora incrementò considerevolmente il lavoro della vigilanza vaticana: la difesa del Santo Padre durante le cerimonie interne ed esterne e anche il compito della polizia interna dello Stato per assicurare la sicurezza dei cittadini, residenti e visitatori. Ed arrivò il giorno dell’udienza generale del mercoledì del 13 maggio 1981. Sembrava una come tante che si svolgeva sulla piazza san Pietro, ma non è stato così. La ricordo nella conversazione con Fabrizio.

Włodzimierz Rędzioch: - Come voi, vigilanti, eravate organizzati durante le udienze?

Fabrizio Antonio: - Durante l’udienza generale eravamo un gruppo di 40 persone. I vigilanti erano predisposti lungo il percorso della jeep e una squadra piccola intorno alla macchina. Stavamo lì per fermare un eventuale esaltato e squilibrato che volesse avvicinarlo. Quel giorno la jeep entrò sulla piazza dall’Arco delle Campane alle 17.00 (nella stagione calda le udienze si facevano di pomeriggio) e proseguì verso il Portone di Bronzo a destra della piazza, dopo piegò di nuovo. Io stavo dietro la jeep ed in un certo momento sentii un botto tremendo: allora non mi resi conto di quanti spari fossero. In un attimo capimmo che era successa una cosa spaventosa: un attentato al Papa! Una parte dei vigilanti circondò la macchina dove Giovanni Paolo II stava accasciato tra le braccia di don Stanislao. Altri colleghi scavalcarono la transenna per correre dietro la persona che aveva sparato. La jeep arrivò dietro l’Arco delle Campane dove aspettava già l’ambulanza che portò il Papa prima alla sede dei Servizi Sanitari vaticani e dopo al Policlinico Gemelli.

- Che cosa significava per voi, vigilanti, l’attentato al Pontefice?

- Per noi, guardiani del Papa, fu un colpo terribile: non era mai successo. Prima nessuno prendeva in considerazione la possibilità di un attentato con l’arma al Papa e per questo motivo noi non eravamo armati. Dopo si viveva con la preoccupazione che si potesse ripetere. Per di più è apparso anche il rischio del terrorismo.

- Come cambiò il lavoro della vigilanza dopo l’attentato?

- Prima di tutto cambiò la percezione dei pericoli che correva il Papa. I responsabili della sicurezza del Pontefice si resero conto che nella situazione politica nel mondo, prima di tutto nei Paesi comunisti, il Papa corresse più rischi. Allora, dovevamo aumentare la vigilanza. Ma prima di tutto i nostri superiori presero atto che i vigilanti dovevano essere armati: non potevamo affrontare gli eventuali aggressori a mani nude. Per questo motivo fu cambiato anche il nostro nome in corpo di vigilanza (successivamente si è arrivato al nome attuale: gendarmeria vaticana).

- Il vostro lavoro diventò più difficile?

- Dovevamo fare un’enorme sforzo per assicurare la migliore sicurezza al Papa. Il compito fu ancora più difficile perché Giovanni Paolo II non volle assolutamente rinunciare allo stretto contatto con la gente che lui desiderava salutare, toccare, abbracciare. Un passo importante fu l’introduzione dei controlli all’ingresso per le udienze. Prima si facevano con i metaldetector portatili in ricerca di armi, coltelli, materiali incendiari o esplosivi. Dopo sono stati installati quelli fissi.

- Che ricordi conserva di Giovanni Paolo II?

- L’attentato dal Papa è un ricordo indelebile per me allora un vigile giovane e senza esperienza: spari, il Papa che si accascia, il sangue nella macchina. Ogni volta, quando vedo i filmati dell’attentato, rivivo quei momenti terribili. Ma dopo, grazie a Dio, il pontificato continuò pieno di soddisfazioni: i viaggi nelle parrocchie di Roma, in Italia e in tutto il mondo, ma anche le vacanze passate insieme a Castel Gandolfo o in montagna. Conservo un ricordo stupendo di Giovanni Paolo II. Era una persona affabile, che ti metteva a tua agio, quasi non ti faceva sentire di essere tuo superiore. È stato il mio Papa preferito che ho servito dall’inizio alla fine del suo pontificato con tutto il mio amore.

Il testo in polacco è apparso sul settimanale cattolico “Niedziela”

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