L’infermiere che ha accompagnato Giovanni Paolo II ferito nell’attentato all’ospedale
Leonardo Porzia è nato nel meridione d’Italia, a Gravina di Puglia. Già durante il servizio militare lavorava come infermiere. Dal 1960 prestava il suo servizio nei vari ospedali e cliniche, tra cui il policlinico Gemelli e l’ospedale Santo Spirito. Ha cominciato a lavorare in Vaticano dal 1967. Lavorando già in Vaticano ha fatto il corso di fisioterapista.
Włodzimierz Rędzioch: - Cosa faceva il 13 maggio 1981?
Leonardo Porzia: - Il 13 maggio 1981 mi trovavo nell’ambulatorio chirurgico del Vaticano insieme al medico, prof. Fedele. Eravano collegati via radio con altri sanitari che si trovavano a piazza san Pietro per l’udienza generale. Ad un certo punto ho sentito alla radio la voce che ripeteva: “Hanno sparato al Papa!” Si sentivano anche i rumori e le voci agitate. E dopo ci hanno comunicato: “Stiamo rientrando con il Papa”. Ho chiamato subito il prof. Fedele che si trovava nella stanza a fianco e siamo usciti davanti all’ambulatorio. Io nel frattempo ho chiamato all’autoparco per chiedere l’ambulanza perché quella del Papa che si trovava sulla piazza non poteva muoversi per la calca della gente. Il Papa è stato portato all’ingresso degli ambulatori sulla jeep. Ho preso la lettiga dalla seconda ambulanza e l’abbiamo fatto sdraiare su di essa nell’ingresso, aspettando l’ambulanza che doveva venire dalla piazza.
- Ogni volta quando entro negli ambulatori vaticani vedo la piccola piastrella con la data dell’attentato che è stata posta nel luogo dove il Papa ferito stava sdraiato sulla barella. Ma volevo chieder: Perché bisognava aspettare l’ambulanza del Papa?
- L’ambulanza del Papa era ben equipaggiata. Ed era un’ambulanza nuova, arrivata in Vaticano il giorno prima.
- Chi assisteva Giovanni Paolo II in quei momenti?
- Ovviamente, la voce sull’attentato al Papa si è sparsa rapidamente e sono arrivati altri medici. Il chirurgo mi ha chiesto di scoprire l’inguine del ferito: voleva constatare l’entità del danno cioè se la ferita era di carattere venoso o arterioso. Dalla vena il sangue esce piano, dall’arteria schizza. Siccome il sangue usciva piano, si poteva rischiare di portare il Papa al policlinico Gemelli e non all’ospedale Santo Spirito che si trova a due passi dal Vaticano.
- Chi è salito sull’ambulanza?
- Sull’ambulanza è salito don Stanislao Dziwisz, il segretario del Papa, il medico personale dott. Renato Buzzonetti, dott. Nicotra (vice-direttore), prof. Fedele, fra Camillo (il frate polacco della congregazione dei Fatebenefratelli che lavorava in farmacia vaticana), Angelo Gugel (cameriere), io ed ovviamente l’autista, Cannellone.
- Che strada avete fatto?
- Siamo usciti dalla porta Sant’Anna, invece la polizia ci aspettava dall’altra parte del Vaticano sulla via Aurelia. Si andava in mezzo di traffico senza la scorta e per di più a Monte Mario, a metà strada, la sirena ha smesso di funzionare. Mica male che l’autista, per evitare il traffico e i semafori, ha preso una scorciatoia, via Pereira, purtroppo a senso unico e dovevamo andare contro mano. Il medico mi ha chiesto di fare una flebo al Papa e mentre volevo infilare l’ago, l’autista doveva sterzare e salire sul marciapiede per evitare una macchina che veniva in altro senso di marcia, allora l’ago è finito nel mio dito.
- Di che cosa parlavate durante quella corsa al policlinico?
- Giovanni Paolo II pregava e i medici si chiedevano chi era la persona che aveva attentato alla vita del Papa e perché.
- Al policlinico Gemelli siete arrivati abbastanza presto…
- E’ vero. Fortunatamente siamo arrivati in poco tempo. L’ordine era di portare Giovanni Paolo II al centro di rianimazione dove ci aspettava il dott. Sabato. Quando siamo arrivati con la barella alla rianimazione, ci hanno detto di portale il Papa dall’altra parte, al nono piano dell’ospedale: siamo andati a piedi fino all’ascensore per arrivare al nono piano dove doveva essere operato. Lo abbiamo portato nella stanza e mi hanno chiesto di spogliarlo. L’ho spogliato e ha dato i vestiti sistemati in una busta a Gugel. E in questo è finito il mio compito quel giorno drammatico.
- Quando hai rivisto Giovanni Paolo II?
- Quando il Santo Padre è tornato in Vaticano ha concesso l’udienza al personale del servizio sanitario vaticano e dipendenti del policlinico Gemelli che si erano occupati di Lui durante il ricovero. Purtroppo, gli organizzatori si sono scordati del prof. Fedele e di me. Qualche tempo più tardi, il dott. Buzzonetti ci ha informati di presentarsi dal Papa con le rispettive famiglie. E’ venuto anche fra Camillo. Era un incontro molto commovente e il Pontefice mi ha concesso il titolo di cavaliere di San Silvestro Papa.
- Ha avuto altre occasioni per incontrare il Papa?
- In quel periodi Giovanni Paolo II veniva portato negli ambulatori per fare delle analisi. Lo si faceva sabato pomeriggio quando non c’erano altri pazienti. E così due volte avevo l’occasione d’incontrarlo: quando mi vedeva mi diceva: “Ma io la conosco”. Queste sue parole erano per me il più grande riconoscimento che potevo avere dal Papa.
Niedziela 20/2017