La scomparsa di un dittatore che ha incontrato tre papi

Wlodzimierz Rędzioch intervista Joaquín Navarro Valls

- Come mai Giovanni Paolo II, il Papa ritenuto “anticomunista”, voleva visitare il Paese governato dal regime comunista che ha sopravvissuto al crollo del Muro di Berlino?

Joaquín Navarro Valls: - Perché quel paese, cioè Cuba, aveva tanto bisogno della visita del Papa. Un bisogno che era insieme umano e spirituale. Isolato dall’embargo americano e dalla comunità internazionale, i cubani avevano un grande bisogno di qualcuno che potesse spiegare loro il valore straordinario della persona umana, dei valori umani, e anche – soprattutto – delle ricchezze della fede cristiana. Questo lo poteva soltanto fare un Papa. E un Papa come Giovanni Paolo II.

- Lei aveva un ruolo importante nella preparazione della visita. Cosa potrebbe dire a questo proposito?

- Prima della visita c’erano molti problemi irrisolti. Alcuni erano dei problemi logistici ed anche organizzativi. Ma soprattutto dei problemi più profondi: Cuba necessitava molta assistenza pastorale che non poteva essere esaudita perché mancavano dei sacerdoti. Il calendario ufficiale, già dall’inizio della rivoluzione, aveva cancellato la ricorrenza del Natale. E tante altre cose. Quindi il Papa mi ha inviato a Cuba tre mesi prima della sua visita. Ho parlato molto a lungo – da solo e per sei ore di seguito – con Fidel Castro che devo dire mi ha ascoltato con molta attenzione. Molte di queste cose sono state risolte, grazie a lui. Già da quell’anno, prima ancora della visita del Papa, Castro ha ripristinato nel calendario cubano la Festa del Natale. Che, naturalmente, continua.

- Quali condizioni poneva il regime per invitare il Pontefice?

- In realtà nessuna condizione. Il tema era piuttosto se, con occasione della visita del Papa, si poteva andare al fondo di alcuni problemi per la Chiesa a Cuba. E come le dicevo prima, molti di questi problemi, sono stati superati.

- Non temevate le strumentalizzazioni della visita del Papa da parte del regime?

- Questo problema penso che esisteva in qualsiasi viaggio del Papa: la possibilità, per le autorità locali, di capitalizzare in termini personali e riduttivi una visita che era pastorale. Ma con Giovanni Paolo II questo problema si superava nei primi cinque minuti del suo arrivo: la sua parola era chiara, inequivoca, trasparente. Il suo messaggio riempiva lo spazio pubblico e l’interesse in qualsiasi paese dove lui arrivava. Si ricorda lei del primo viaggio in Polonia del 1979…? E di quelli successivi anche sotto la legge marziale…?

- Con quale spirito il Papa affrontava il viaggio a Cuba?

- Prima di tutto, studiando molto bene la storia e le circostanze locali. E valutando tutti gli elementi che lui si faceva spiegare in dettaglio. E, simultaneamente, pregando molto, ma veramente molto per Cuba.

- Alla fine, a gennaio 1998 Giovanni Paolo II sbarcò a Cuba dell’eterno líder maximo Fidel Castro. Con quale sentimento assisteva alla solenne Messa pubblica nella Plaza de la Revolución?

- Da parte del Papa, la Santa Messa era sempre e in tutti i luoghi el centro di tutto. Ma sapeva, allo stesso tempo, far sorridere la gente. Mi ricordo che la sua omelia fu interrotta molte volte dagli appalusi de la gente. A un certo punto disse: “Vi ringrazio per questi applausi perché così io posso riposare un poco”. Ricordo che a quella Messa, arrivò anche Castro. Dopo le Messa le ho chiesto se voleva salutare un momento al Papa. E lui ha accettato immediatamente.

- Che cosa si ricorda degli incontri di Giovanni Paolo II con Fidel Castro, particolarmente dell’incontro privato con la sua famiglia?

- L’incontro privato fu lungo: c’erano, naturalmente molte cose da parlare. E Castro era molto attento. Poi, in una saletta accanto, c’erano i fratelli e le sorelle di Castro che il Papa volle anche salutare personalmente. Castro disse: “Santo Padre, questa mia sorella vorrebbe abbracciarlo: è possibile?” Il Papa immediatamente e sorridendo disse: “Naturalmente” E avvenne quell’abbraccio stretto tra quella signora, sorella del “grande dittatore”, e il Papa sotto lo sguardo, direi un poco emozionato di Castro.

- Il Papa era soddisfatto di come erano andate le cose a Cuba? Come commentava il suo viaggio? - Il Papa era contento. Aveva seminato molto in tutta l’isola. Aveva pregato e gioito molto con i milioni di cubani che non avevano pensato mai di vedere un Papa nella loro isola.

- Quali erano i risultati concreti per la vita della Chiesa e della gente del viaggio del Papa sull’isola caraibica? - Dobbiamo allontanarci di voler fare un bilancio su delle cose che, essendo sopra tutto interne alle persone, sono presenti soltanto a Dio e, in parte, anche alle singole persone. Certamente Cuba non aveva mai, in tutta la sua storia, vissuto nulla di paragonabile a quelle giornate. E giovanni Paolo II era stato lo strumento efficace di Dio nella vita dei cubani.

- Guardando dalla prospettiva di quasi 20 anni, quale impronta nella storia ha lasciato quel primo viaggio di un Pontefice a Cuba?

- Menzionerei soltanto un fatto: prima della visita, la Chiesa in Cuba non aveva alcuna rilevanza sociale: non si vedeva, non erano permesse manifestazioni pubbliche della fede come delle processioni, per esempio, così fondamentali nel cristianesimo Latinoamericano. Dopo la visita, questo era cambiato. La Chiesa era uscita all’aperto della vita sociale.

- Lei dal 1984 era il testimone del pontificato di Giovanni Paolo II ed era anche uno dei suoi più fidati collaboratori. Non Le sembra che in certi ambienti si tenta di scordare questo grande Pontefice e di relegare il suo pontificato alla storia?

- Questo succedeva anche mentre Giovanni Paolo era vivo: c’era sempre qualcuno che voleva cancellare la sua figura del paesaggio culturale e sociale – oltre che religioso- della nostra epoca. Ma non riuscì! Non c’era modo di cancellare quella figura; di silenziare quella voce. Il Papa, con i suoi viaggi, con le sue parole, con i suoi interventi, con la sua preghiera, riusciva a fare “visibile” la fede. E non soltanto a Roma o nelle chiese. Ma in tutto il mondo: nei luoghi di lavoro, nelle famiglie, nelle Università e centri di ricerca. E oggi, basta dare un’occhiata alla Basilica di S. Pietro e vedere sempre piena la cappella dove sta il suo corpo per rendersi conto di quanto sia presente oggi Giovanni Paolo II nelle vite di tanta gente. Di tutto il mondo.

- Professore, parlavamo di tempi passati ma adesso vorrei tornare al presente: dopo aver compiuto 80 anni, che cosa fa l’ex-Direttore della Sala Stampa Vaticana?

- In questi anni ho scritto molto. Ho dovuto viaggiare per accettare di fare delle conferenze; anche alcune volte in Polonia. Ma soprattutto ho potuto ritornare al mondo della Medicina che era stata la mia prima vocazione professionale: lavoro all’Università Campus Bio-Medico di Roma.

Niedziela 50/2016

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