I Benedettini a Norcia. Rimaniamo qui per ricostruire
Włodzimierz Rędzioch
Nel dicembre dell’Anno Giubilare 2000 sono arrivati in tre. Tre monaci americani che si sono stabiliti nella città di san Benedetto, proprio nel monastero costruito sui resti della sua casa natale, vicino alla basilica dedicata a lui. Dopo circa 200 anni d’assenza dei benedettini in questo luogo simbolico, i monaci hanno ricominciato qui la vita monastica secondo la Regola del Padre del monachesimo occidentale. In pochi anni sono diventati 15 venuti anche dagli altri Paesi del mondo. Nessuno di loro poteva prevedere che la loro “casa” a Norcia sarebbe completamente distrutta dal terribile terremoto che quest’anno ha colpito l’Italia centrale. Ma nessuno dei monaci è morto e questo per loro è un segno: devono rimanere qui a lodare Dio e servire gli uomini.
Dei benedettini di Norcia ho parlato con uno di loro, dom Benedict.
Włodzimierz Rędzioch: - Che cosa significavano per voi, monaci benedettini, quei 15 anni passati nella città di san Benedetto, nel monastero costruito sulla sua casa natale?
Dom Benedict: - Negli anni passati a Norcia abbiamo sviluppato l’attività liturgica e di culto nella basilica di san Benedetto. Per partecipare alle nostre funzioni religiose la gente veniva non soltanto dall’’Italia ma anche da tutto il mondo, attratta dalla figura di san Benedetto ed dalla liturgia monastica. In questo modo la gente poteva ascoltare il canto gregoriano, pregare con i monaci, parlare dei loro problemi e chiedere l’aiuto. Erano gli anni di grande sviluppo spirituale.
- Come siete stati accolti dalla gente del posto?
- Molto bene. Per gli abitanti di Norcia il ritorno dei monaci era molto importante: come se con noi tornasse l’anima di questo posto. In noi, benedettini, vedevano i lontani figli del loro grande concittadino.
- San Benedetto e i suoi seguaci diedero le basi per la civiltà cristiana in Europa. Voi, in maggioranza Americani, siete venuti in Italia in un momento particolare della storia del nostro continente quando l’UE sta rinnegando le sue radici cristiane e sta emarginando la Chiesa. Come da monaci benedettini avete guardato questo nostro Vecchio Continente?
- L’abbiamo guardato come una barca senza vela. Una barca che sembrava intatta ma non aveva la forza per navigare. Il progetto dell’Unione Europea doveva essere fondato su qualche base. Rinnegando le radici cristiane si tentava di cancellare l’identità cristiana. Anche se c’erano i politici che mostravano san Benedetto come la figura che poteva riunire l’Europa, perché i benedettini portarono la fede cristiana in tutto il continente.
- I benedettini non soltanto pregano ma anche lavorano per sostenersi…
- San Benedetto dice che i monaci sono veri benedettini se vivono del lavoro di loro mani. Noi abbiamo preso sul serio questa raccomandazione. Ma all’inizio non potevamo fare granché: offrivamo soltanto un po’ d’ospitalità. Ci aiutavano i benefattori. Quando la comunità è cresciuta, tra i monaci c’era anche uno che sapeva comei fare la birra. L’abbiamo mandato in Belgio per imparare meglio tutto il processo produttivo secondo la tradizione monastica.
- In Belgio ci sono tanti monasteri che producono le famose birre…
- E’ vero, particolarmente nella produzione di birra si sono specializzati i monaci trappisti. Noi siamo riusciti ad aprire il nostro piccolo birrificio nel 2012 con un impianto di 250 litri. Produciamo la birra che abbiamo voluto chiamare “Nursia”, come il paese, per portare il nome di Norcia in tutto il mondo. La richiesta della nostra birra era così grande che abbiamo dovuto vendere il nostro primo impianto per comprarne uno nuovo, più grande.
Si proprio nella casa natale di san Benedetto c’erano due grandi ambienti che abbiamo ristrutturato insieme con il garage e la cantina per mettere l’impianto della produzione di birra.
- La vostra comunità ha deciso di avere un altro ambiente fuori dalla città. Come mai?
- Norcia è diventata un paese turistico e rumoroso. Specialmente durante l’estate era difficile rispettare il silenzio della vita monastica. Perciò nel 2008 abbiamo comprato in montagna, nemmeno due chilometri fuori dalla città, un vecchio convento cappuccino in rovina che era di proprietà della diocesi. In questo modo volevamo avere due sedi: in città per l’apostolato e in montagna per la preghiera. Pian piano stavamo ristrutturando il convento. All’inizio abbiamo fatto poco per mancanza dei soldi, ma negli ultimi due/tre anni abbiamo ricevuto i finanziamenti dalla Regione e stavamo per riaprire la chiesa del convento che è del XVI secolo.
- Parliamo adesso del terremoto. Come avete reagito alle prime scosse del 24 agosto?
- Il primo terremoto ha causato già dei danni e siamo stati sconvolti. La metà del monastero non era agibile perciò i primi giorni ci siamo rifugiati a Roma. Dopo siamo tornati a Norcia: una parte dei monaci è tornata nel monastero, gli altri sono stati sistemati nelle casette di legno allestite presso il convento in montagna. Sono le casette predisposte per questo tipo di situazioni: si montano velocemente, sono sicure perché sono di un piano, non c’è muratura e non hanno i soffitti pesanti. Il terremoto di 26 ottobre ha causato ulteriori danni e i monaci dovevano lasciare Norcia per spostarsi in montagna. E grazie a Dio!
- Perché il terremoto del 31 ottobre ha distrutto completamente il vostro monastero e la basilica di san Benedetto…
- Se non ci fossero questi primi terremoti e se non ci fossimo spostati in montagna saremmo tutti morti. Dal convento in montagna si vede bene tutta la valle con la città. E da qui che abbiamo visto il crollo della basilica. Era una cosa tremenda. Ci rendevamo conto della gravità della situazione perché i danni erano enormi e, pensavamo, ci fossero dei morti. Quattro di noi siamo scesi in città perché ci rendevamo conto che potevamo servire come sacerdoti, per aiutare la gente a salvarsi e per amministrare i sacramenti. Qualcuno di noi è rimasto sulla piazza per tranquillizzare la gente e per pregare, altri correvano per città per aiutare.
- Voi per 15 anni stavate ricostruendo e abbellendo questo luogo particolare che era il monastero e la basilica di san Benedetto. Adesso tutto è crollato. Che cosa significava per voi, monaci, la distruzione di questo luogo benedettino?
- Da un lato siamo molto tristi, ma dall’altro lato siamo anche grati a Dio che ci ha risparmiato la vita. Nessuno di noi è morto, allora pensiamo che Dio ha voluto che rimanessimo qui, a Norcia. E questo ci dà tanta forza in un momento delicato. Magari Dio vuole che noi restiamo in montagna per fare la vita più intensa di preghiera, per far capire alla gente, al mondo l’importanza della preghiera. Il papa Benedetto XVI ci sta dando l’esempio di questa vita consacrata totalmente alla preghiera. E nel frattempo i muri si possono ricostruire.
- Quali sono i progetti immediati dei monaci?
- Prima di tutto vogliamo sistemarci meglio in montagna nelle casette di legno. Invece a Norcia bisogna prima mettere in sicurezza gli edifici, togliere tutte le rovine per poter poi cominciare a pensare alla ricostruzione della basilica e del monastero. Ci vorrà tanto tempo ma i monaci hanno molta pazienza.
„Niedziela” 51/2016