INTERVISTA CON S. E. R. MONS. GIACINTO- BOULOS MARCUZZO

“Come logo del pellegrinaggio del Santo Padre abbiamo scelto il disegno stilizzato della bellissima statua che si trova a Tabgha: Gesù con san Pietro. In quel luogo, sul lago Tiberiade, Gesù risorto apparve agli apostoli e mangiò con loro. In quell’occasione il Signore chiese per ben tre volte a Pietro: ‘Mi ami tu?’ Alle risposte affirmative di Pietro Gesù gli disse:”Pasci le mie pecorelle”. In quella stessa Galilea Gesù rivolse pure a Simone figlio di Giona quella famosa frase: ‘Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa’. Abbiamo scelto appunto il ‘Tu est Petrus’ come motto del viaggio di Benedetto XVI” in Terra Santa. Mons. Marcuzzo, vescovo a Nazareth ed uno degli organizzatori del pellegrinaggio del Pontefice in Terra Santa, tiene in mano il poster preparato dalla Chiesa locale per spiegarmi il suo significato. “Vede – continua – come sfondo del poster abbiamo messo il famoso mosaico di Madaba del V-VI sec., rappresentante la meravigliosa mappa della Terra Santa in quel tempo, e abbiamo aggiunto delle foto che simboleggiano le tappe più significative del viaggio: Betania oltre il Giordano (sito del battesimo di Gesù secondo il Vangelo), Nazareth, Betlemme e, ovviamente, Gerusalemme”.
Mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo, Ausiliare di Gerusalemme e Vicario patriarcale latino per Israele, è entusiasta quando parla del viaggio del Pontefice. L’ho incontrato per parlare di questo storico evento perché è uno dei principali organizzatori del pellegrinaggio di Benedetto XVI in Terra Santa.

Włodzimierz Rędzioch: - Eccellenza, come vanno i preparativi per il viaggio del Santo Padre?

S.E.R.Mons. Giacinto-Boulos Marcuzzo: - Vanno bene. Purtroppo, abbiamo l’impressione che non ci sia mai abbastanza tempo per preparare tutto al meglio. Ma la cosa più importante è che c’è molto fervore tra i fedeli.

- Il problema più grande che dovevano affrontare gli organizzatori?

- Il più grande problema logistico lo dobbiamo affrontare proprio a Nazareth.

- Proprio nella città dove risiede Lei…

- E’ proprio così. A Nazareth dovevamo preparare ex-novo un luogo dell’incontro del Papa con i numerosi fedeli d’Israele in generale e della Galilea in particolare. Non si poteva farlo nella chiesa dell’Annunciazione che può contenere al massimo 1500 fedeli, mentre noi avevamo bisogno di uno spazio grande per oltre 30-40 mila persone. L’unico luogo adatto a Nazareth è il tradizionale Monte del Precipizio (Mons Praecipitii), che è una collina vicina e prospiciente Nazareth. Il suo nome fa riferimento alla Vangelo (Lc 4, 29). Quando Gesù ritorna un giorno a Nazareth ( alla sinagoga precisamente) i suoi abitanti gli chiedono di fare dei miracoli. Gesù non ne fece (“a causa della loro incredulità”, come spiega il Vangelo). Allora i suoi concittadini “furono pieni di sdegno” che avrebbero voluto “gettarlo giù del monte sul quale la loro città era costruita”. La collina che oggi viene chiama del Precipizio (in arabo al-Qafzeh) è tradizionale, non è certamente da identificarsi con quella menzionata in Luca, è evidentemente troppo lontana. E’ piuttosto una tradizione medievale dei Crociati che, venendo dalla pianura d’Esdrelon, percepivano questo ripido ed alto monte di 570 metri appunto come un precipizio. L’importante, comunque, è quel suggestivo episodio evangelico svoltosi a Nazareth, non tanto la sua esatta localizzazione. Allora in questo luogo abbiamo preparato, con la collaborazione del Municipio e delle Autorità centrali, uno spazio molto bello: il Papa avrà dietro le spalle la città, invece i fedeli vedranno l’altare, il Santo Padre e tutta Nazareth. Dalla cima del monte c’è la più bella vista sulla tutta la Bassa Galilea.

- Nel mese di maggio il tempo dovrebbe essere bello…

- In maggio di solito il tempo è buono, ma la natura è più bella adesso, nel mese di aprile quando alla fine della stagione delle piogge tutta la collina è verde e piena di fiori. Ma volevo aggiungere che sulla collina c’è anche un boschetto che viene chiamato “La foresta della riconciliazione” in ricordo di due protagonisti del dialogo cattolico-ebraico: il papa Giovanni XXIII e il professore francese Jules Isaac. E’stata una dedica, molto caldeggiata dalla Chiesa, eretta in preparazione del Grande Giubileo.

- Per i cristiani Nazareth è la città della Sacra Famiglia, e perciò è anche il simbolo della vita familiare. Ci si è tenuto conto nell’organizzare la visita del Papa?

- Il programma della visita, dal punto di vista ideale, è organizzato intorno a quattro grandi temi: in Giordania si parlerà della Chiesa, a Gerusalemme di pace, a Betlemme della vita, a Nazareth invece della famiglia. E’ ovvio che nel luogo legato alla Sacra Famiglia bisognava concentrarsi su questo tema così caro e importante a tutti oggi. Per di più, negli ultimi tre anni la Chiesa locale, secondo il nostro “Piano pastorale generale”, si è occupata in modo particolare della pastorale della famiglia. La visita di Benedetto XVI a Nazareth è come un sigillo a conclusione dell’anno della famiglia. Il Papa a Nazareth benedirà la prima pietra di un centro internazionale per la famiglia, già pensato e voluto da Giovanni Paolo II e progettato dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, che si chiamerà “Centro Internazionale per la Spiritualità e la Nuova Evangelizzazione della Famiglia” e si costruirà proprio a Nazareth.

- Permetta una digressione: nella paleontologia si parla dell’ “uomo di Qafzeh”. Potrebbe dirci qualche cosa a questo proposito?

- Sul versante occidentale del Monte del Precipizio c’è una grotta, chiamata “la grotta degli antenati”, dove negli anni 1932-33 i paleontologi hanno scoperto il cadavere di un uomo di quasi 100 mila anni fa, “l’uomo di Qafzeh” appunto, che costituisce un anello importante nella ricostruzione delle migrazioni dell’uomo a partire dell’Africa fino all’ Asia e all’ Europa passando per la Palestina. Oggi lo scheletro della grotta di al-Qafzeh si trova in Francia. Poiché parliamo di grotte del Monte del Precipizio, vorrei aggiungere che lì si trovano anche delle grotte dove vivevano degli eremiti nei primi secoli cristiani. Si tratterebbe dell’unica esperienza eremitica cristiana consciuta in Galilea, mentre in quello stesso periodo gli eremiti nel deserto della Giudea erano numerosi.

- Il viaggio di Benedetto XVI in Terra Santa è un pellegrinaggio, direi privato, nei luoghi della vita di Gesù, ma è anche la visita del Capo della Chiesa presso la Chiesa locale. Chi sono i cristiani che vivono visitati dal Papa?

- In Israele abbiamo 120-30 mila cristiani arabi, discendenti della prima comunità locale, che oggi sono di cultura palestinese. Altri 50 mila vivono nei territori palestinesi, e 245 mila in Giordania. In totale, nei tre Paesi moderni dell’antica Terra Santa abbiamo circa 425 mila cristiani di cui più della metà sono cattolici . Bisogna aggiungere i cristiani di “espressione ebraica”, i cristiani russi e i cristiani “ospiti” cioè i numerosi lavoratori stranieri. Se permette, devo aggiungere che i cristiani di Terra Santa sono anche i pellegrini che considerano la terra di Gesù come la loro patria spirituale e la Chiesa locale come la Chiesa Madre.

- Che cosa si aspetta dalla visita del Santo Padre la Chiesa locale?

- Ci aspettiamo che la visita sia veramente pastorale. Su questo punto sia il Santo Padre, sia il Patriarca di Gerusalemme, sia il Nunzio Apostolico, sia tutta la Chiesa sono d’accordo. Bisogna evitare che l’aspetto ufficiale, pur rilevante, prenda il sopravvento sull’aspetto pastorale. Dicendo pastorale intendiamo dire che il pellegrinaggio del Papa rafforzerà l’unità e la comunione ecclesiale, creerà un clima più favorevole alla giustizia e alla pace e rinsalderà i legami interreligiosi e il dialogo tra le religioni e le culture.

- Conoscendo la storia, si può essere sicuri che le autorità sia israeliane, sia palestinesi tenteranno di strumentalizzare politicamente il viaggio del Papa…

- Bisogna stare attenti ed è per questo che noi insistiamo sul fatto che la visita del Pontefice sia un pellegrinaggio spirituale e una visita pastorale alla Chiesa locale. Per questo motivo in ogni luogo il punto centrale del programma è l’incontro con i fedeli e la Santa Messa pubblica in spazi aperti, e abbiamo insistito sul fatto che i Papa, pur con le misure di sicurezza, possa incontrare i fedeli e questi possano almeno vederlo.

- Tanta gente in tutto il mondo è preoccupata dell’esodo dei cristiani dalla Terra Santa. C’è veramente il rischio che la terra dove visse Gesù rimarrà senza cristiani?

- Mi sembra che da noi, in Israele, nell’immediato questo rischio c’è, ma è meno acuto. Si pone soprattutto per i territori palestinesi. Dobbiamo guardare questo problema con molta serietà, anche se senza allarmismo e paure fuori posto. Il rischio purtroppo esiste, e la Chiesa lavora instancabilmente per radicare i nostri fedeli nella nostra terra. Il pellegrinaggio del Santo Padre potrà darci certamente un grande sostegno pastorale, culturale e sociale.

- Non si può parlare della presenza di Benedetto XVI in Terra Santa senza parlare delle relazioni tra Santa Sede e Stato d’Israele. La Santa Sede ha stabilito rapporti diplomatici come atto di fiducia verso Israele, lasciando da definire in futuro gli aspetti concreti della vita delle comunità cattoliche e della Chiesa. Nel 1993 è stato firmato l’Accordo Fondamentale e da allora funziona la Commissione bilaterale che dovrebbe risolvere tutti i problemi tra le due parti (in particolare i problemi delle tasse e delle proprietà espropriate). Purtroppo la parte israeliana non rispetta le promesse fatte e sabota i lavori della Commissione. Cosa può dire su questa triste vicenda?

- Sono membro della Commissione bilaterale, allora posso parlarne anche in tale veste. Non esageriamo con certi termini: promesse non rispettate, sabotare i lavori...Bisognerebbe sfumare e precisare certe affermazioni. La cosa, è vero, si trascina da troppo tempo (da più di 16 anni) e la soluzione dei problemi diventa sempre più urgente. Prima e in vista della visita del Papa c’è stata un’ accelerazione dei lavori da ambo le parti. Pensavamo quasi di essere sul punto di dire la parola finale a quell’accordo pratico (si tratta infatti dell’accordo di applicazione degli accordi già firmati in precedenza). Invece...ci vuole ancora tempo, pazienza e lavoro.

- Il problema è che neanche gli accordi già firmati sono stati ratificati…

- E’ vero: né l’Accordo Fondamentale del 1993, né l’accordo sulla personalità giuridica del 1997 sono stati ratificati dallo Stato d’Israele, nel senso che non sono ancora legge dello Stato. Per questo motivo abbiamo molti problemi legati agli aspetti economici: i problemi di tasse, proprietà, diritti acquisiti, tasse municipali...e altri.

- Il nuovo governo israeliano di destra con un ministro degli esteri considerato estremista può ulteriormente complicare le cose?

- Forse è il cambio di governo che ha spinto i negoziatori israeliani a non poter dare la risposta positiva che ci auguravamo e che anche loro avevano contribuito a trovare. Con il nuovo governo e con la nuova atmosfera nel Paese la parte israeliana non si è sentita in grado di dare le risposte finali che aspettavamo. Adesso tutto, nell’ambito sia generale della pace, sia delle relazioni con la Chiesa, sarà più complicato e complesso. Noi andiamo avanti, comunque, con pazienza e fiducia perché non ci basiamo sulle differenze politiche di questo o quel governo, ma parliamo con lo Stato d’Israele che dovrebbe avere una certa continuità di linea.

- I miei amici francescani mi dicono che lo Stato d’Israele non vuole riconoscere alla Chiesa certi diritti che per secoli venivano rispettati persino dall’Impero Ottomano…

- Sono i famosi “diritti storici acquisiti”. E’ un aspetto molto importante perché la Chiesa ha svolto e ancora svolge un ruolo rilevante anche nell’ambito sociale, educativo-scolastico, sanitario-assistenziale e turistico(pellegrinaggi). Quando lei pensa che in certe zone l’unica assistenza medica ed ospedaliera è assicurata dalla Chiesa (come a Nazareth per esempio). Quando lei pensa che in alcune zone le scuole principali sono tenute della Chiesa.

- Lo Stato dovrebbe riconoscerlo…

- Appunto. C’è anche un altro aspetto del problema: ogni anno in Israele arrivano milioni di pellegrini cristiani ed è la Chiesa che fa venire quei pellegrini. Il turismo ( i miliorni di pellegrini) è la più grande risorsa per Israele, è il suo “petrolio”, allora lo stato dovrebbe riconoscerlo. Nei secoli scorsi, a partire dal ‘500, i regimi precedenti riconobbero questo ruolo particolare della Chiesa ed Essa ottenne diritti che vengono chiamati “diritti storici acquisiti”, che non sono privilegi, riconosciuti da tutti i regimi che si sono susseguiti, anche da Israele nel 1948. Per esempio, la Chiesa non paga le tasse sulle attività religiose e non paga la tassa municipale (se noi dovessimo pagarla, moltissime comunità sarebbe obbligate a chiudere); noi viviamo di carità, di solidarietà dei fedeli del mondo intero. Ripeto, lo Stato d’Israele nel 1948, nel momento della sua fondazione, accettò quei diritti e praticamente li rispettò. Adesso, invece, coglie l’occasione di questi accordi per un ripensamento.
Noi non siamo disposti a pagare le tasse sulle attività puramente religiose e ad abbandonare i diritti storici aquisiti, ma siamo disposti a pagarle sulle attività commerciali, come per esempio sulla produzione del vino.
Ma in occasione della visita del Santo Padre, senza dimenticare gli aspetti diplomatici e ufficiali, vogliamo parlare soprattutto degli aspetti spirituali, pastorali, ecumenici e interreligiosi.

"Niedziela" 19/2009

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