EREMITA POLACCO SULLE ORME DEI MONACI SIRIACI IN UMBRIA
SI RACCONTA TADEUSZ – EREMITA CHE VIVE SUI MONTI SIBILLINI
Nel V secolo - in seguito alle persecuzioni dell’imperatore Anastasio Dikoro che sosteneva l’eresia ariana e del vescovo Severio di Antiochia - circa 300 monaci salirono sulla nave che li portò dalla Siria ad Ostia in Italia. A Roma i monaci chiesero al Papa di affidare loro una zona isolata e tranquilla dove poter fare la vita eremitica. Il Papa li mandò nelle valli tra Spoleto, Cascia e Norcia. Un gruppo di monaci formò un importante insediamento eremitico a Monteluco di Spoleto. Invece circa 50 monaci guidati da santo Spes arrivarono alla valle chiamata “Valcastoriana”. Lì formarono una piccola comunità dove oggi si trova l’abbazia di Sant’Eutizio e 15 eremi sparsi sulle montagne circostanti. Di solito in ogni eremo vivevano due monaci: un anziano chiamato “abba” e un giovane che imparava “il mestiere” di eremita. Così nel raggio di pochi chilometri si è creato un importante insediamento monastico pre-benedettino. Se teniamo conto che i monaci arrivarono in questa zona alla fine del V secolo e san Benedetto nacque qui nel 480, allora si può constatare che il fondatore del monachesimo occidentale doveva conoscere la realtà del monachesimo orientale trapiantato in Umbria e che la vita di questi monaci gli serviva da esempio. Nelle grotte sopra l’attuale abbazia benedettina vivevano i monaci Fiorenzo e Eutizio. Dopo la morte di santo Spes,i monaci scelsero come guida sant’Eutizio che scese nella valle lasciando solo l’altro eremita. Oggi le grotte scavate nella roccia testimoniano la presenza dei santi eremiti in questo luogo solitario sul pendìo della montagna. Nel X secolo vicino alle grotte fu costruito in pietra un piccolo eremo con la cappella dedicata a san Fiorenzo.
Oggi in questo luogo isolato ma pieno di storia vive un altro eremita “venuto da lontano”: un giovane polacco di nome Tadeusz che ha scelto di vivere da eremita nella patria di san Benedetto, sui monti Sibillini tra cinghiali, volpi, vipere, faine ed aquile. Grazie al suo paziente lavoro di muratore, l’antico eremo abbandonato sta tornato alla sua semplice bellezza. Tadeusz ha già restaurato la cappella dedicata al san Fiorenzo e ha ricavato una minuscola stanza dove vive. Due piccoli pannelli solari gli forniscono l’energia per illuminare la sua cella, invece la semplice stufa a legna serve per riscaldarla nei lunghi mesi d’inverno.
Sono salito a 1100 metri di altitudine per un ripido e scosceso sentiero di montagna per incontralo e fargli raccontare la sua storia.
Włodzimierz Rędzioch: - Tadeusz, che cosa faceva in Polonia?
Tadeusz Wrona: - Sono nato nell’angolo sud-est della Polonia, vicino al famoso paese chiamato Łańcut. Per la prima volta ho sentito la voce della chiamata per la vita monastica quando ho finito la scuola elementare a 15 anni. Ho fatto il liceo e “la voce” tornava, ma dovevo fare il servizio militare obbligatorio che allora in Polonia durava due anni. Dopo il servizio militare ho lavorato altri due anni. Alla fine ho deciso di rispondere a questa chiamata particolare: non per la vita sacerdotale, ma per la vita eremitica. In una settimana ho “chiuso” con il mondo e sono entrato nella congregazione fondata da don Orione: la Piccola Opera della Divina Provvidenza. Questa congregazione ha un piccolo ramo eremitico. Dopo il noviziato a Varsavia, sono andato in Italia dove vicino a Tortona si trova l’unico eremo della Congregazione. Lì sono stato tre anni. Purtroppo, l’eremo non era più eremo perché era diventato un centro di spiritualità e i pochi suoi monaci servivano da custodi dell’abbazia e facevano vita attiva, non contemplativa. Per questo motivo, quando sono scaduti i miei voti temporanei, ho lasciato la congregazione e mi sono trasferito a Frascati vicino a Roma dai Camaldolesi di Monte Corona. Sono stato con loro circa otto mesi , ma prima di cominciare il noviziato, ho deciso di lasciarli.
- Come mai non è rimasto nella congregazione che è tipicamente contemplativa?
- Perché io cercavo la vita più solitaria, senza certezze, invece la vita dei camaldolesi era da un lato chiusa, ma dall’altro, sicura, organizzata dalla congregazione. Io volevo essere un eremita che si affidava completamente alla Divina Provvidenza, che vive senza sicurezze sperando nell’aiuto del Signore per sopravvivere. A Frascati ho conosciuto un padre italiano che voleva fare la vita che sognavo anch’io. Allora tutti e due abbiamo lasciato il convento per trovare qualche eremo e il Signore ci ha guidati fin qui: in una settimana abbiamo trovato un parroco dell’abbazia di Sant’Eutizio che ci ha accolti e siamo andati a parlare con il vescovo. Non c’erano problemi: il mio compagno è andato all’eremo della Madonna della Croce ed io invece all’eremo di San Fiorenzo.
- Come mai nella Valcastoriana intorno all’abbazia di Sant’Eutizio ci sono tanti eremi?
- Dal V al X secolo in questa zona vivevano monaci che seguivano la regola monastica orientale. Nel X secolo subentrarono i benedettini che rimasero qui fino al XVII secolo. Dopo la partenza dei benedettini, l’abbazia e gli eremi passarono alla diocesi.
- Allora l’eremo appartiene alla diocesi Spoleto-Norcia?
- Sì, ed io sono un eremita diocesano.
- Come è la sua vita in questo eremo sulle montagne umbre?
- Prima di tutto, io faccio vita cristiana. Quando sto all’eremo faccio vita di preghiera, di silenzio, di penitenza in solitudine, ma tutte le domeniche scendo nella valle per la santa messa, cerco di aiutare nella parrocchia, particolarmente a Natale e a Pasqua.
- Ma perché bisogna ritirarsi in un eremo per fare la vita cristiana?
- Perché la vita solitaria aiuta ad avvicinarsi a Dio. Io ho risposto alla chiamata del Signore per questo tipo di vita. Non è una fuga dal mondo e dai suoi problemi: qui, in montagna, mi sembra di stare al centro del mondo. Con la vita di preghiera e sacrificio voglio dare a tutti fratelli del mondo un aiuto.
- Fa dei digiuni?
- I padri del deserto, dopo 30-40 anni di vita eremitica, dicevano che è meglio mangiare poco ma ogni giorno, per non rovinarsi la salute. Allora di solito mangio tre volte al giorno anche se poco. Invece ho sempre in mente il bellissimo consiglio che Gesù dava agli apostoli: “Mangiate qualunque cosa vi mettono davanti”. Perciò io mangio sia carne, sia pesce, tutto quello che mi offre la Divina Provvidenza; sono un mendicante della Divina Misericordia. Io coltivo un orto che mi dà la verdura, invece la gente mi porta sempre qualche cosa: pasta, pane, salsicce, scatolette ecc. E, grazie a Dio, vivo in questo modo già da 12 anni: non sono ingrassato, nè dimagrito.
- Che tipo di penitenza pratica?
- Si può fare penitenza in mille modi: zappare la terra può essere penitenza, fare i lavori di muratura per ricostruire l’eremo può essere penitenza, ma la penitenza più importante è combattere le nostre debolezze e le mancanze del nostro carattere. Il compito più gravoso dell’eremita è perfezionare se stesso.
- In certi ordini contemplativi c’è di moda la meditazione orientale (i monaci si danno allo yoga, allo zen). Segue questo tipo di tecniche di meditazione?
- In certi casi queste tecniche possono aiutare, anche se ci sono dei rischi. Ma noi abbiamo la secolare tradizione di vita contemplativa. A me piace tanto la “preghiera del cuore” dei monaci orientali. Si ripete la preghiera: “Gesù, Figlio di Dio vivo, abbi pietà di me, povero peccatore”. All’inizio la dici con le labbra: mille, diecimila volte al giorno. Dopo avviene un passaggio dalle labbra alla mente e la preghiera viene ripetuta dentro la tua testa. Invece, dopo anni di pratica e con l’aiuto di Dio, avviene il terzo passaggio: la preghiera prende possesso del tuo cuore e dentro di te si ripete la voce: “Gesù, abbi pietà di me, povero peccatore”. In questo modo i monaci orientali pregavano 24 ore al giorno, anche quando dormivano dentro di loro c’era questa voce interiore.
- Il deserto da sempre fu luogo di santificazione ma, nello stesso tempo, di tentazione (nel deserto anche Gesù fu tentato dal diavolo)…
- Ci sono sempre momenti di sconforto e di tentazione. La lotta per il controllo del pensiero e delle azioni può durare tutta l’esistenza. Anche gli eremiti hanno bisogno della misericordia di Dio. Tra la vita e la morte c’è poco tempo per conquistare l’Eternità, non dobbiamo sprecarlo.
"Niedziela" 28/2008