Cosa succede in Libano?

In Libano, centro della nuova partita geopolitica del Medio Oriente
Di Włodzimierz Rędzioch

Lo scorso 4 novembre il premier libanese, il sunnita Saad Hariri, mentre si trovava nella capitale dell’Arabia Saudita, regno sunnita, ha deciso di dare le sue dimissioni da premier. Si parlava di Hariri “prigioniero” dei sauditi, quando due settimane dopo è sbarcato a Parigi ringraziando il presidente Macron per il suo sostegno e mediazione. Il 22 novembre Hariri stava di nuovo a Beirut e ha partecipato alla parata militare in occasione del 74° anniversario dell’indipendenza del Libano. A Beirut, dopo aver incontrato il presidente Michel Aoun, cristiano, e il presidente della Camera Nabih Berri, sciita, il primo ministro ha detto di essere disponibile a “sospendere” le dimissioni. Una storia incredibili che mostra come è complicata oggi la situazione nel Medio Oriente compreso il Libano.
Per capire qualche cose di più ho parlato con Camille Eid, giornalista e scrittore libanese residente in Italia, specialista del mondo arabo.

Włodzimierz Rędzioch: - Che cosa sta succedendo in Libano?

Camille Eid: - Il Libano ha corso il rischio di scivolare in un nuovo conflitto, non per volontà sua ma dell’Arabia Saudita e i suoi alleati nel Golfo che volevano trasformare il mio Paese in un’arena di scontro con l’Iran. L’Arabia Saudita costringendo Hariri alle dimissioni pensava di mettere i sunniti libanesi ed anche i profughi sunniti dalla Siria contro la comunità sciita e gli Hezbollah legati in qualche modo all’Iran.

- E come si è riuscito ad evitare il peggio?

- Grazie alla saggezza dei nostri politici, prima di tutto del presidente Aoun, che ha fatto tutto il possibile per calmare gli animi, ma anche del presidente della camera Berri e il movimento dello stesso Hariri: i sunniti libanesi hanno capito che qualche cosa non quadrava, che il primo ministro è stato costretto alle dimissioni dai sauditi, che lo ricattavano (la famiglia Harriri ha forti legami economici con l’Arabia Saudita). In questa situazione anche il capo degli Hezbollah libanesi Hassan Nasrallah ha cercato di non alzare il tono.
Si è evitato il conflitto grazie anche alla “protezione” degli Stati europei, prima di tutto della Francia e in misura minore della Germania, che hanno fatto delle pressioni su Riad. Non è mai successo che il premier dava le sue dimissioni nella capitale di un altro stato. Non so che tipo di pressioni sono stati fatte ma si sa che Macron ha fatto un viaggio improvviso a Riad e dopo ha inviato anche il suo ministro degli esteri.

- Ma una volta tornato in Libano via Parigi Hariri ha cambiato idea ed ha ritirato le sue dimissione imposte dagli sauditi…

- E’ vero. Nel suo discorso ai suoi simpatizzanti lui alludeva alla mancanza di libertà di parola e di azione mentre si trovava in Arabia Saudita e sottolineava che conta prima di tutto il Libano. Come se volesse liberare il Paese dalla tutela dei sauditi.

- Ma in questo modo si è riuscito a salvaguardare il Paese?

- Per il momento sì, ma non siamo scampati completamente al pericolo perché il giovane erede al trono saudita continua a parlare dell’Iran e degli Hezbollah, di Ali Khamenei, guida suprema iraniana come nuovo Hitler come se volesse lo scontro. Ma in questa situazione il Libano può contare sulla protezione dell’Europa, anche perché in Libano ci sono 1,5 milioni di profughi siriani che in caso di destabilizzazione del Paese finirebbe in maggioranza in Europa. Il nuovo conflitto sarebbe legato agli esodi di massa.
Hariri recentemente ha dichiarato che il Libano dovrebbe rimanere un Paese neutrale e che tutte le forze presenti nel Pase dovrebbero adeguarsi a questa linea. Questo era un invito agli Hezbollah di non mandare i miliziani in Siria e in Iraq e di non mischiarsi negli affari esteri. Si spera che il premier riesca a convincere tutte le forze politiche a seguire questa linea di neutralità per il bene del Libano.

- La maggior parte dei conflitti e guerre in Medio Oriente sembrano riconducibili allo scontro tra il mondo sunnita con a capo l’Arabia Saudita e l’Iran sciita e i suoi alleati nei diversi Paesi della regione. Con la fine prossima, come sembra, della guerra in Siria non c’è il rischio di un nuovo conflitto tra sunniti e sciiti?

- Questa è la nostra paura. Con il crollo militare dell’ISIS in Siria e Iraq e con l’incontro a Soci tra la Russia, la Turchia e l’Iran per delineare le sorti della regione medioorientale, tutto sembra portare alla fine della guerra e l’apertura della fase transitoria.

- E perché proprio in questo momento l’Arabia Saudita ha fatto scoppiare il “caso Hariri”?

- Perché i sauditi pensano che la situazione si sta evolvendo non il loro favore, perché vinceva l’asse: Assad, Iran, Mosca. Sanno di aver perso influenza in Iraq e in Siria, allora rimaneva loro il Libano dove affermare il loro potere. Ma hanno giocato malissimo la loro carta perché colpendo Hariri, hanno colpito i loro alleati sunniti libanesi che adesso non si fidano più di loro.
Noi non vorremmo essere né sotto influenza iraniana né saudita. E’ difficile tenersi lontani da queste influenze ma non vogliamo fare gli errori del passato: sono ancora fresche le memorie delle guerre libanesi. Con la guerra tutti avremmo perso. Il Libano è un Paese dei compromessi dove nessuno può imporsi con la forza.

- Il ministro della Difesa israeliana Avigdor Lieberman ha detto che la presenza di militari iraniani e di milizie Hezbollah in Siria equivale per Israele alla dichiarazione di guerra. Ma gli Hezbollah ci sono anche in Libano. Questo può essere la causa di un nuovo conflitto di Israele e di altri Paesi sunniti non soltanto con la Siria ma anche con il Libano?

- Adesso in Medio Oriente si è delineata una nuova alleanza tra l’Arabia Saudita e Israele: il nemico comune è l’Iran. Ma questa politica porterebbe alla deflagrazione di tutta l’area.

- E gli USA come reagiscono?

- L’Amministrazione Trump sembra aver dato carta bianca al giovane erede del trono saudita, che spinge Israele contro gli Hezbollah in Siria e, eventualmente, in Libano. Ma così si scatenerebbe l’inferno.

- Recentemente a Riad si è recato in visita il patriarca della Chiesa maronita libanese Sua Beatitudine Béchara Boutros Raï: è successo per la prima volta, perciò si parlava di una visita storica. Che cosa ci faceva il Patriarca Rai nel regno saudita?

- E’ andato perché vuole promuovere il dialogo diretto. Il Patriarca è stato invitato prima dell’affare Hariri. Allora, dopo aver parlato con il presidente Aoun, ha deciso di andare lo stesso a condizione di poter incontrare a Riad il premier. La visita è storica perché è la prima effettuata da un prelato cristiano in visita ufficiale. Il Patriarca è entrato nel palazzo reale con la croce pettorale, senza nascondersi. Ma per dire la verità, io ho delle perplessità circa la presunta apertura del 32-enne erede al trono saudita Mohammed bin Salman (chiamato MbS), perché da un lato si apre alle donne e al dialogo (si parla del restauro di qualche chiesa antica o della costruzione della chiesa a Riad) , ma dall’altro c’è la concentrazione del potere nelle mani di un uomo solo, la lotta contro i “corrotti” che in realtà sono gli avversari nella lotta al potere (queste persone stavano al potere insieme al suo padre) e la politica estera molto aggressiva. Allora, temo che tutte queste aperture siano un “maquillage” per far piacere l’Occidente.

„Niedziela” 51/2017

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