Turchia di Ergogan
Assegnato a Marta Ottaviani il riconoscimento giornalistico Hrant Dink, martire armeno della verità
Hrant Dink era un uomo buono e mite, cercava sempre il dialogo anche con la gente che non la pensava come lui. E’ stato il fondatore e il redattore capo della rivista Agos, un giornale scritto in armeno e in turco per avvicinare i due popoli e per facilitare la loro riconciliazione. Ma, da giornalista, era amante della verità e della libertà di pensiero. Per questo motivo non nascondeva il fatto che non si sentiva turco ma armeno in Turchia e scriveva apertamente sul genocidio armeno avvenuto tra il 1890 e il 1917. Nella Turchia, anche all’inizio del XXI, tale atteggiamento era insopportabile per il potere sempre più nazionalista e intollerante: nel 2005 fu condannato a sei mesi di reclusione perché i tribunali avevano ritenuto i suoi articoli un insulto all'identità turca secondo il famigerato articolo 301 del codice penale turco. Insieme alla condanna è cominciata nei media una violenta campagna denigratoria che lo descriveva come nemico viscerale dei turchi. Sono arrivate anche continue minacce che sconvolgevano la vita di quest’uomo pacifico. Non voleva scappare, non voleva fuggire all’estero e, malgrado il clima pesante, era convinto che non gli sarebbe successo niente. Nel suo ultimo articolo scriveva, tra l’altro: “Sono come un colombo che si guarda sempre intorno, incuriosito e impaurito. Chissà quali ingiustizie mi troverò davanti. Ma nel mio cuore impaurito di colombo so che la gente di questo Paese non mi toccherà. Perché qui non si fa male ai colombi. I colombi vivono fra gli uomini. Impauriti come me, ma come me liberi”. Sbagliava Dink: è stato assassinato a Istanbul, davanti ai locali del suo giornale Agos, con tre colpi di pistola alla gola. Il suo assassino, Ogun Samast, nato nel 1990 a Trebisonda, all'epoca del delitto aveva soltanto 17 anni. E’ stato riconosciuto colpevole di omicidio premeditato e condannato a ventidue anni e dieci mesi di reclusione. Ma a tutti è stato chiaro che il giovane è stato solo l’esecutore materiale del delitto e che l’assassinio del giornalista scomodo coinvolgeva apparati dello Stato, servizi segreti e gruppi ultranazionalisti. In questo senso la morte di Dink è stato un crimine di stato.
L’assassinio provocò enorme sgomento non soltanto in Turchia ma in tutto il mondo. In Italia la scomparsa di Hrant Dink è ricordata dalla Comunità armena di Roma con un riconoscimento giornalistico a lui intitolato la cui prima edizione si è tenuta nel 2008. Quest’anno si è arrivati alla decima edizione di tale iniziativa. Ad essere insignita del riconoscimento, nello splendido scenario della storica Biblioteca Vallicelliana di Roma, è stata la giornalista italiana Marta Ottaviani, considerata uno dei maggiori esperti di Turchia dove ha passato tanti anni della sua vita professionale. Il suo ultimo libro: “Il Reis. Come Erdogan ha cambiato la Turchia” (Textus Edizioni, 2016) tratta anche della storia recentissima e travagliata di quel Paese.
Ecco l’intervista con Marta Ottaviani sulla Turchia dell’aspirante califfo Erdogan
Włodzimierz Rędzioch: - La storia recentissima della Turchia è segnata dal golpe del 15 luglio 2016. Bisogna dire che si trattava un golpe “maldestro”, senza grande possibilità di riuscita, ma che ha servito al presidente Erdogan a scatenare un vero contro-golpe per eliminare tutti suoi avversari e nemici. Potrebbe raccontarci in che cosa consiste il questo contro-golpe di Erdogan e chi viene colpito dalla “caccia alle streghe” del presidente?
Marta Ottaviani: - Si tratta di un repulisti che ha come unico precedente nella storia del Paese quello del golpe del 1980, che viene ricordato come il più crudele nel passato della Turchia. Ufficialmente questo repulisti vuole fare pulizia di tutti i sospetti appartenenti a Fetö, un’organizzazione terroristica, secondo la versione ufficiale, che fa capo a Fethullah Gülen, ex imam, ora guida spirituale e businessman in autoesilio negli Usa, che per lungo tempo è stato uno dei migliori alleati di Erdogan nella lotta agli apparati più laici. Stano però finendo in manette anche migliaia di militanti curdi, sospettati di fare parte del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan o di farne anche solo propaganda.
- Quali sono i numeri della repressione?
- L'agenzia di stampa “Anadolu” ha diffuso numeri ufficiali provenienti da fonti governative. Sono piuttosto impressionanti. Le persone arrestate e in attesa di processo sono 150mila, quelli fermati temporaneamente 50mila. Fra questi ultimi ci sono circa 2500 magistrati, 7000 militari e quasi 9000 poliziotti.
- Colpire i giornalisti vuol dire colpire il “perno” della democrazia. Possiamo ancora parlare della libertà di stampa in Turchia?
- In Turchia purtroppo la libertà di stampa è a rischio da anni. Diciamo però che dal 2014, da quando Erdogan è diventato presidente della Repubblica, la situazione è progressivamente peggiorata. Hanno iniziato a chiudere testate, alcune sono uscite in edicola con una linea editoriale completamente diversa. Molti colleghi che non sono finiti in carcere hanno comunque perso il loro posto di lavoro.
- Erdogan ha voluto una riforma radicale della costituzione in senso presidenzialista: pieni poteri al presidente, con controllo della magistratura e la nomina dei ministri. L’opposizione non poteva fare niente perché il presidente ha fatto imprigionare i suoi oppositori e l’opposizione parlamentare era sotto pressione perché ogni dissenso può essere bollato come “criminale”. Nel referendum costituzionale 25 milioni di turchi hanno votato come voleva Erdogan. Come mai la Turchia che in tanti percepivano come un Paese “occidentalizzato” sta diventando sempre più conservatrice e intollerante, con la democrazia sospesa e il presidente “califfo”?
- Erdogan in realtà ha sdoganato e ridato vita a una parte di Turchia che c’è sempre stata come del resto è sempre esistito l’Islam politico. Ad alimentare questo fenomeno temo ci si sia messa anche il complesso periodo che sta attraversando il Mediterraneo, che sta letteralmente cambiando faccia e le migrazioni di massa, che studieremo sui libri di storia. Tornando alla domanda c’è una parte di società turca radicalizzata e galvanizzata, ma questa è sempre esistita, era solo più silente.
- In vista del referendum costituzionale il presidente ha organizzato un’enorme campagna presso le comunità turche residenti in Europa. E si è scoperto che i Turchi che vivono tra noi, e sono milioni, votavano per Erdogan e la sua svolta antidemocratica, nazionalista e islamista. Per di più il presidente ha incoraggiato le famiglie turche che vivono in Europa ad avere tanti figli. Ha detto: "Dovete educare i vostri figli nelle migliori scuole, assicuratevi che le vostre famiglie vivano nei posti migliori, guidate le auto migliori, abitate le case piu' belle e fate cinque figli, non solo tre, voi siete il futuro dell'Europa". L’impero Ottomano nei secoli della storia ha voluto conquistare l’Europa. Adesso il presidente-califfo con le nostalgie neo-ottomane vuole farlo attraverso la “politica del ventre” delle donne musulmane?
- Io semplicemente credo che Erdogan sia a conoscenza di una cosa. Le teorie geopolitiche possono sbagliare, quelle demografiche, purtroppo, sbagliano molto meno e quelle attuali dicono che andiamo verso un’Europa dove le componenti etniche non saranno più quelle di oggi. Il problema è che Erdogan, sapendo questa cosa, sta cercando di dare una sua lettura e fare in modo che le generazioni che nasceranno non si integrino, ma al contrario crescano con sentimenti di prevaricazione e intolleranza.
- Tutti ci ricordiamo le proteste al Parco Gezi a Istanbul, che era il luogo simbolo di libertà e del dialogo. Adesso il Parco Gezi è vuoto: c’è ancora la speranza che le forze democratiche fermino la deriva dittatoriale della Turchia?
- Purtroppo occorre dire che la società turca ora è molto impaurita o rassegnata. Nel Paese è ancora in vigore lo Stato di emergenza, iniziato dopo il golpe. Difficile dire quando finirà. A questo bisogna aggiungere che, mancando un’alternativa politica a cui affidarsi, a molti Erdogan appare ancora invincibile.
- Un membro della Nato e un aspirante membro dell’UE sta scivolando verso la dittatura islamico-nazionalista e il mondo, particolarmente l’Europa, non sa come reagire nei confronti di una Turchia irriconoscibile. Cosa rischiamo, lasciando Erdogan a sopprimere la democrazia e a promuovere la sua agenda geopolitica neo ottomana?
- Il problema è che Erdogan sembra inarrestabile e l’Europa non sa/non vuole arginarlo in nessun modo. Il presidente lo sa benissimo e per questo continua a fare quello che vuole. Devo però dire una cosa. Chi pensa che tutto si risolverà quanto Erdogan lascerà il potere, sbaglia di grosso. Gli effetti della sua azione politica e culturale dureranno a lungo e non potranno mai più essere cancellati completamente.
„Niedziela” 26/2017